Lavrov minaccia altri missili ma Kiev garantisce sul grano. "Domani la prima spedizione"

Ha un nome il porto ucraino da cui, già domani, potrebbero ripartire le esportazioni di fertilizzanti, grano e altri cereali

Lavrov minaccia altri missili ma Kiev garantisce sul grano. "Domani la prima spedizione"

Ha un nome il porto ucraino da cui, già domani, potrebbero ripartire le esportazioni di fertilizzanti, grano e altri cereali. Kiev annuncia: il 27 luglio, dallo scalo di Chornomorsk, nel sud-ovest del Paese, le navi inizieranno a caricare le prime tonnellate; poi toccherà all'accesso meridionale di Odessa e a quello sudoccidentale di Pivdenny. «Nelle prossime due setti­mane».

Ma l'accordo siglato venerdì, con Mosca e Kiev sostenute dalle Nazioni Unite per l'intesa salva-fame, viaggia sui trampoli. Certo è già qualcosa rispetto all'incubo che fino a un mese e mezzo fa sembrava prossimo a diventare realtà: scorte imprigionate nei silos e Africa proiettata verso nuove rivolte del pane.

La Turchia cerca di sormontare l'ultimo ostacolo, legato all'inviolabilità non solo delle imbarcazioni ma pure della terraferma ucraina da cui partono i cargo. Anche perché «se le parti non garantiscono la sicurezza, non funzionerà», avverte il ministro delle Infrastrutture di Kiev Oleksandr Kubrakov, firmatario del patto per il suo governo. Dunque per sbloccare lo stallo che rischia di guastare le scorte di cibo, pronte da settimane a passare attraverso il Mar Nero, le verifiche andranno fatte giorno per giorno. Col rebus dei desiderata del Cremlino da decriptare ogni dì.

Basti pensare che meno di 24 ore dopo l'intesa sull'export, la Russia ha lanciato un attacco missilistico sul porto odessino; prima smentito, poi ammesso e ricondotto a una nave militare ucraina e un deposito di missili (alcuni di provenienza Usa secondo il Cremlino). A oggi, il mare è perciò ancora minato dall'esercito ucraino: per proteggersi. Kubrakov è stato chiaro: la bonifica avverrà solo «nel corridoio necessario per le esportazioni». Le navi ucraine accompagneranno i convogli. Ankara si è ritagliata non solo il ruolo di garante ma pure quello di ispettore: alla marina turca è infatti affidato il compito di ispezionare i carichi, e garantire a Mosca che le navi non tornino in Ucraina imbottite di armi.

Il rischio di raid russi permane, specie dopo le tutt'altro che rassicuranti parole del portavoce del Cremlino: parlando dell'attacco missilistico contro il porto di Odessa, Dimitri Peskov ha detto che non è «in nessun modo correlato all'infrastruttura utilizzata per adempiere agli accordi per l'export del grano». Ma che sono colpi mirati a spodestare Zelensky. E il ministro degli Esteri Sergei Lavrov rincara la dose: gli aimpegni di IstanbulA non impediranno a Mosca di continuare la sua «operazione speciale» in Ucraina. Gli Stati Uniti non nascondono perplessità. Washington lima già un piano B per l'export, quello che prevede (come tempo addietro senza successo) le vie di strade, ferrovie e fiumi, e l'invio di chiatte e l'adeguamento dei sistemi ferroviari per adattare i binari a quelli europei: «Lo stiamo valutando come alternativa d'emergenza, perché non ci si può fidare di nulla di ciò che dice Vladimir Putin», dichiara Samantha Power, responsabile dell'agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (Usaid). Il consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, Mikhaylo Podolyak, ne approfitta per rimarcare invece la buona fede di Kiev, puntando il dito sul viaggio del capo diplomazia di Mosca in Congo, Egitto, Etiopia e Uganda: «È la quintessenza del sadismo russo, organizzi una fame artificiale e poi vai a rallegrare la gente, ma che Mosca lo voglia o no il grano ucraino arriverà nel mondo».

È infatti chiaro che la crisi dei silos non pesa solo sul Maghreb (47 milioni di persone minacciate in Africa) ma pure sull'Occidente. Ieri, futures del grano al Chicago Board of Trade saliti di quasi il 4% a 7,86 dollari al bushel, recuperando gran parte del terreno perso venerdì, quando i prezzi erano scesi di quasi il 6% dopo l'ok al patto.

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