La Lega trumpiana contro l'Europa. E il partito invoca Salvini al Viminale

Oggi la riconferma a segretario del vicepremier: "Il governo avrà vita lunga, noi siamo il collante". L'attesa per i big, da Orbán al messaggio della Meloni

La Lega trumpiana contro l'Europa. E il partito invoca Salvini al Viminale
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Dal nostro inviato a Firenze

I dazi? «Li ha messi l'Europa per prima, con queste politiche sciagurate sull'automotive e il Green Deal». Antonio D'Apote, medico condotto in pensione di Bagnolo in Piano, Reggio Emilia, urla dalla platea quel che rimbomba dal palco. La Lega è con Trump, la Lega vuole la fine della guerra, la Lega punta il dito contro l'Europa. E i militanti riuniti a Firenze scoprono oggi che avevano ragione loro, perché Bruxelles sembra aver innestato la retromarcia e mette in discussione certezze progressiste che sembravano acquisite. Il partito è junior partner nella coalizione di centrodestra, ma la ruota del politically correct gira e mostra che quel che sembrava sbagliato forse era giusto. Anzi, sacrosanto. «Anziché pensare a ritorsioni, vendette o guerre commerciali che rischiano di non portare alcun beneficio - spiega Paolo Borchia, capo delegazione al Parlamento europeo - l'Europa cominci a cancellare vincoli, divieti, regolamenti, Green Deal e tutte le ecofollie che ha portato avanti in questi anni. Quelli che oggi si dicono preoccupati dove erano quando in Ue veniva approvato il Green Deal che ha messo in ginocchio intere categorie?». Domande corrosive che si ripetono in un lungo pomeriggio, una lunghissima successione di interventi che scandiscono i temi classici della Lega: la sicurezza, con tanto di fresco decreto da mettere in vetrina, l'autonomia, la lotta all'immigrazione clandestina. Lealtà alla maggioranza: «Siamo il collante del governo che avrà vita lunga», giura Salvini. Che oggi dovrebbe ricevere un video messaggio di saluto sia dalla premier sia dal leader ungherese Viktor Orbán. Ecco, la Lega che fa professione di orgoglio e non si sente per nulla schiacciata dalle truppe meloniane, alza la voce per dire che lui, il segretario che oggi sarà riconfermato, Matteo Salvini, meriterebbe di tornare al Viminale. Sì, Salvini al Viminale. Con buona pace di Matteo Piantedosi e degli equilibri del governo. «Credo che sui temi dell'amministrazione della giustizia, sicurezza e contrasto all'immigrazione clandestina - attacca il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari - non basti l'ottimo lavoro ordinario che stiamo facendo. Penso che da questo congresso debba uscire un lavoro straordinario sulla sicurezza che soltanto Matteo Salvini, tornando al Viminale, potrà fare». «Dal 2007 in poi - aggiunge il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo - ci sono stati due ministri dell'interno che hanno fermato maggiormente l'immigrazione: Roberto Maroni e Matteo Salvini. Se si dovesse aprire una strada percorribile - è la conclusione - che possa portare Matteo Salvini a tornare a fare il ministro dell'Interno dobbiamo a tutti i costi seguirla». La mozione «Viminale per Salvini» è lanciata, poi si vedrà. Luca Zaia dal palco ammonisce gli altri partiti della maggioranza: «Noi non siamo fedeli, fedeli sono i cani, noi siamo leali». A Roberto Calderoli tocca fare il punto sulla lunga marcia verso l'autonomia e lui polemizza: «Prima sull'elezione diretta delle Province mi hanno suggerito di scrivere un testo di maggioranza. Poi mi hanno detto: Dobbiamo coinvolgere l'opposizione. E io ho parlato con Calenda e Avs, ma a quel punto mi hanno chiesto di coinvolgere il Pd. Mi sono adeguato ed ecco mi hanno spiegato: Ora facciamo un sondaggio. Eh, no. Mi girano un po', se le riforme le facciamo sulla base dei sondaggi, le riforme non le facciamo più». Dopo la notizia cattiva, arriva però quella buona: «Per quanto riguarda il federalismo fiscale, settimana prossima va in Consiglio dei ministri la fiscalità di Comuni, Province, Regioni ed entro fine anno arriveranno anche i Lep relativi alle materie di competenza delle Regioni». I mitici Lep, sempre attesi e mai raggiunti.

Ora, forse, sono a portata di mano. Un gruppo di giovani sventola le bandiere del partito. Andrea Nucci e Ginevra Berrighi, 27 anni lui e 17 lei, stanno con il gruppo dirigente: «Se ci fa paura Trump? No, ci fa più paura Zelensky».

SteZu

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