
La legge elettorale è un tema di per sé scabroso, ma Giovanni Donzelli (foto), uno dei plenipotenziari di Fdi, nell'atrio di Montecitorio ne parla apertamente, segno che la trattativa tra i partiti è molto avanti. «Non siamo all'ultimo giro - spiega - ma presto andremo avanti. Lo schema è una legge proporzionale con indicazione del premier e premio di maggioranza con soglia del 40% al posto dei collegi uninominali. Rintrodurremo le preferenze almeno per una parte, non del tutto perché un Parlamento eletto con liste bloccate difficilmente la voterebbe. Così rivitalizziamo i partiti e la politica e ci svincoliamo dai ricatti. Sarai giudicato per le politiche che fai. Ed è un modo per preparare il premierato. Se non ci riuscisse in questa legislatura, comunque, avremmo fatto un primo passo con legge elettorale».
Altra scena. Su un divano del Transatlantico Francesco Filini, altro consigliere della principessa di Palazzo Chigi, fornisce nuovi particolari. «Le preferenze? Un modo - osserva - per ricollegare i partiti al territorio. Adesso contano solo i capi partito. Inoltre le uniche forze strutturate a livello locale sono da una parte il Pd e dall'altra noi, Fi e la Lega. I 5stelle? Alle Europee con le preferenze spariscono. Pure sulla soglia del 40% per il premio non credo che la Consulta possa dire di no. In Toscana c'è già al 40% come pure nelle amministrazioni della Sicilia. Tutte leggi elettorali volute dalla sinistra. La soglia minima per entrare in Parlamento, invece, non sarà più del 3%. La metterei pure più bassa non per Calenda ma perché ci sono forze minori che rappresentano interessi reali come una volta i repubblicani».
Tanti particolari dimostrano che siamo alla vigilia del via. La stessa Meloni ne ha parlato con diversi interlocutori. È il motivo, ad esempio, della liason con Calenda e lo strumento per evitare che Azione finisca nel campo largo. Naturalmente ognuno fa i suoi calcoli, giusti o sbagliati che siano, tutti si concentrano sull'amletico mi giova o non mi giova. Detto questo nella maggioranza l'imperativo è andare avanti.
Antonio Tajani dice solo una parola: «Proporzionale». E il capogruppo Barelli ammette: «Ci stiamo già organizzando per la nuova legge, siamo pronti». Tanta convinzione la comprendi quando parli con i veterani delle campagne elettorale: usano un unico argomento per convincere i riottosi del centrodestra. «Se non vogliamo perdere - sintetizza Luciano Ciocchetti, ex-dc finito alla corte della Meloni - la legge va fatta. Altrimenti se pd e grillini si mettono d'accordo - l'altra volta erano divisi - perdiamo tutti i collegi da Roma in giù». Stesso concetto sulla bocca del leghista Stefano Candiani, altro mago dei meccanismi elettorali. «È nel segno dei tempi - rimarca - altrimenti sfumano tutti i collegi del Sud e delle grandi città. Inoltre con il proporzionale Pd e 5stelle tenderanno a divaricarsi».
Questi i calcoli a destra. Per cui ti aspetteresti una chiusura sull'altro versante, ma così non è. Anche lì il meccanismo sarà studiato nei dettagli. «Nelle leggi elettorali - sussurra il Graziano Delrio - il diavolo è nei particolari. La soglia del premio al 40% è troppo bassa, la Consulta non lo accetterà mai».
Ma in generale non c'è una chiusura netta. In uno schieramento così plurale l'idea del proporzionale, di fare campagne elettorali differenziate, di essere un minimo svincolati da alleati troppo ingombranti, fa gola a molti. Né dispiace l'idea di rintrodurre le preferenze per ridurre il potere delle segreterie. «A me le preferenze vanno benissimo - giura il piddino Nico Stumpo - per ridare un senso ai partiti». «Una simile legge proporzionale - ammette il verde Bonelli - la voterei».
Infine ci sono gli indifferenti.
«Facciano ciò che vogliono - confida un altro piddino, Vincenzo Amendola - a me Veltroni mi ha fatto fuori dalle liste, come pure Renzi. L'ultima volta mi hanno dato un collegio in capo al mondo. Tutti hanno tentato di trombarmi, per cui». Una filosofia di vita.
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