Ieri è stata la giornata più politica di questa edizione della Mostra del cinema di Venezia. George Clooney, fuori concorso con Wolfs, ha parlato del ritiro di Joe Biden dalla competizione elettorale negli USA. Fu proprio Clooney, in luglio, a chiedere un sacrificio a Biden dalle colonne del New York Times. L'attore ha lodato la generosità del presidente uscente, paragonandolo a George Washington. Nessun cenno a Donald Trump né alla subentrata Kamala Harris.
Poi è stato il momento di Ainda Estou (I'm still here) di Walter Salles, storia, in concorso, di una vedova che rinnova l'impegno del marito, desaparecido nel Brasile delle dittature militari.
Infine, è stato il momento del sorprendente The Brutalist di Brady Corbet, in concorso, il film più politico di una rassegna fino a qui lontana dalla militanza, ma non dall'impegno. Di strettamente politico, nella storia di Laszlo Toth, architetto ebreo ungherese immigrato negli USA dopo essere scampato ai lager nazisti, all'apparenza non c'è nulla. Basta mettere in fila alcuni fatti per convincersi del contrario. Il film si ispira alla Fonte meravigliosa, romanzo epico di Ayn Rand (nella foto) del 1943. Con le dovute differenze e deviazioni. Ad esempio, la Rand, teorica del libertarismo, fuggita dalla Russia sovietica negli USA, pensava a Frank Lloyd Wright, mentre Laszlo è appunto un brutalista, proveniente dalla scuola Bauhaus. Lo stesso romanzo ha ispirato altri film, incluso quello, poco apprezzato, di King Vidor con Gary Cooper (1949). The Brutalist non fa politica ma è politico nell'esaltare l'individualismo e la creatività senza compromessi. Toth arriva al successo e realizza, in parte, il sogno americano. Il film è efficace perché non nasconde i difetti del capitalismo. Non è una cavalcata trionfale ma una storia dove si alternano splendori e ombre, grandezza e miseria, munificenza e spilorceria, mobilità e ingiustizia sociale, vera e falsa tolleranza. Tocca a Guy Pearce, il milionario mecenate, figura alla Grande Gatsby ma con soldi veri, incarnare tutto questo mentre Adrien Brody, superlativo nei panni di Toth, costruisce un personaggio sfaccettato, un artista ma non certo un santo. Alla fine però è il capitalismo, con tutte le sue mancanze, a creare sviluppo, anche artistico. Come dice un personaggio, ed è l'ultima frase di The Brutalist, ciò che conta è la meta, non il viaggio. E la meta è raggiunta. Non è l'unico luogo comune ribaltato dal film. Siamo abituati agli stereotipi sul neoliberismo, soprattutto nelle pellicole italiane, cosa bizzarra visto che il nostro Paese non ha avuto nemmeno il vecchio liberismo, al massimo ha conosciuto un dirigismo liberista o un liberismo dirigista, come scriveva il grande Antonio Delfini.
Per il resto, pochi si sono accorti della protesta pro Gaza di Laura Morante e Lino Musella, nel
giorno d'apertura. Last but not least, per gli appassionati di polemiche novecentesche, fascismo e antifascismo, è in arrivo M, la serie tv di Sky tratta dall'omonimo romanzo di Antonio Scurati. Appuntamento al 5 settembre.
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