"Letta è in malafede: nessun preavviso di sfratto a Mattarella. È dal '95 che propongo il presidenzialismo. Da noi idee costruttive"

Berlusconi fa chiarezza sulla riforma della Costituzione: "Una volta approvata sarebbero necessarie le dimissioni del capo dello Stato prima di procedere all’elezione diretta del nuovo presidente"

"Letta è in malafede: nessun preavviso di sfratto a Mattarella. È dal '95 che propongo il presidenzialismo. Da noi idee costruttive"

Pubblichiamo la seconda e ultima parte dell'intervista al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi.

Presidente Silvio Berlusconi per tutto il giorno Enrico Letta ha preso a pretesto un suo ragionamento sul presidenzialismo per insinuare che lei vorrebbe sfrattare Mattarella dal Quirinale...

«Ma quale preavviso di sfratto! Qui ormai viene distorto il significato delle parole! Si strumentalizza anche l'ovvio. Come possono verificare tutti ascoltando la mia intervista, non ho mai attaccato il Presidente Mattarella, né mai ne ho chiesto le dimissioni. A domanda specifica ho solo detto una cosa scontata, lapalissiana, e cioè che una volta approvata la riforma costituzionale sul Presidenzialismo, prima di procedere all'elezione diretta del nuovo Capo dello Stato, sarebbero necessarie le dimissioni di Mattarella che ripeto potrebbe peraltro essere eletto di nuovo. Tutto qui lo scandalo: una semplice spiegazione di come potrebbe funzionare la riforma sul presidenzialismo proposta nel programma del centrodestra. Come si possa scambiare questo per un attacco a Mattarella rimane un mistero. O, forse, si può spiegare con la malafede di chi, come Enrico Letta, mi attribuisce un'intenzione che non è mai stata la mia».

Infatti il tema del presidenzialismo interviene su una necessità del Paese: governabilità e stabilità, in questa legislatura addirittura si sono succeduti tre governi di segno diverso. I primi due, il Conte uno e il Conte due, con maggioranze che erano agli antipodi. L'instabilità politica forse è la questione principale che fa scappare gli investitori dal Paese. Lei in passato ha posto l'argomento più volte, ma forse non è arrivato davvero il momento di dare al Paese una riforma Costituzionale che affronti il tema dell'ingovernabilità?

«È per questo che ho posto il tema del presidenzialismo. Fin dal 1995 ho parlato, con un ampio discorso alla Camera, di una riforma istituzionale in questo senso. Da allora non ho mai cambiato idea. Si tratta di attribuire finalmente agli italiani il diritto di scegliere direttamente chi debba guidare l'esecutivo, come avviene in America, come avviene in Francia».

Comunque Letta non si dà pace nelle polemiche. Ha ritirato fuori anche la tesi che Forza Italia e la Lega avrebbero fatto fuori Draghi. Ma nello stesso tempo lancia segnali per il dopo elezioni a Giuseppe Conte, cioè al vero responsabile della crisi. I soliti giochi di prestigio?

«Il Pd ha cominciato una campagna elettorale bruttissima, fatta di menzogne, una dietro l'altra. Ci accusano tra l'altro, appunto, di essere responsabili della caduta del governo Draghi, ma quanto è accaduto è chiaro a tutti: il Movimento 5 stelle ha deciso di uscire dalla maggioranza, determinando la fine delle larghe intese e il Presidente del Consiglio, di conseguenza, ha deciso di andare dal Presidente della Repubblica a rassegnare le dimissioni. Noi, al contrario, abbiamo chiesto, con un atto formale in Senato, che il governo andasse avanti fino alla fine della legislatura, naturalmente senza i Cinquestelle. Considero molto grave il linguaggio protervo e offensivo della sinistra: evidentemente si vuole una campagna elettorale fondata sulla malafede, sulla falsificazione, sulla demonizzazione dell'avversario. La cosa peggiore per il Paese. Forza Italia e il centrodestra non si presteranno mai a questo gioco e continueranno a mettere sul tavolo proposte costruttive per il futuro e il benessere degli italiani».

Giorgia Meloni è tornata a rivendicare la premiership. Matteo Salvini prima ha proposto di presentare una lista di possibili ministri alla vigilia del voto e poi è tornato indietro. Lei, invece, mantiene la calma. Pensa che gli atteggiamenti dei suoi alleati siano controproducenti?

«Ognuno di noi conduce la campagna elettorale secondo il suo stile e il suo linguaggio. Non sta a me giudicare quello dei miei alleati. Posso solo dire che a me interessa parlare soprattutto di contenuti, delle cose da fare per l'Italia. Noi ne abbiamo indicate di molto importanti. La flat tax al 23% per tutti, famiglie e imprese, con una non tax area per i primi 13.000 euro che protegga i redditi più bassi e assicuri la progressività. L'aumento delle pensioni minime, di anzianità o di invalidità, fino ai 1000 euro, anche per chi, come le nostre mamme e le nostre nonne, ha lavorato per tutta la vita per la famiglia. La liberalizzazione dell'uso del contante fino a 10.000 euro. L'abolizione delle autorizzazioni preventive per chi vuole cominciare un'attività o costruire un immobile: basterà una raccomandata al Comune e si potrà partire, i controlli verranno ex post. Potrei continuare a lungo, perché in campagna elettorale vorrei parlare soprattutto di cose concrete».

Lei propone una flat tax del 23%. Salvini del 15%. Di contro Letta si è inventato una mezza patrimoniale che qualcuno ha ribattezzato la «tassa del morto». La coalizione del centrodestra può caratterizzarsi come un'alleanza contro una tassazione ingiusta? E cosa risponde a chi critica queste proposte dicendo che rischiano di mandare all'aria i conti dello Stato?

«Noi non ci proponiamo mai contro qualcuno o qualcosa, ma piuttosto per fare qualcosa. In questo caso per la liberazione degli italiani dall'oppressione fiscale. Noi non accetteremo mai di colpire con una patrimoniale la casa o il risparmio degli italiani, cioè il denaro onestamente e faticosamente guadagnato, e già tassato, che ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di tenere per sé, dopo averci già pagato le tasse, e poi di lasciarlo alle persone care - o a chi desidera - e non allo Stato».

Altro tema drammatico e annoso per il Paese è la riforma della giustizia. Bastano gli interventi del ministro Cartabia o c'è ancora molto da fare?

«C'è ancora moltissimo da fare, naturalmente. Per quanto la magistratura sia costituita in maggioranza da persone serie e corrette, esiste lo strapotere di una minoranza di magistrati che condiziona il corso della giustizia e che mette in pericolo la libertà di ciascuno. Occorre una riforma nel senso del giusto processo, che significa un processo che condanna i colpevoli, ma tutela gli innocenti. In questo senso la presunzione di innocenza è un principio fondamentale, che troppo spesso viene messo in discussione nel nostro sistema. Chi ha avuto la sfortuna di essere processato da innocente sa cosa questo significa, non solo per la persona indagata, ma per la sua famiglia, i suoi amici, le sue attività. Il processo è esso stesso una pena che deve arrestarsi di fronte a una sentenza di assoluzione, in primo o in secondo grado. Per questo chiediamo l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione. E, in ogni caso, le sentenze devono essere pronunciate da un giudice che sia davvero terzo rispetto all'accusa e alla difesa. Per questo la separazione delle carriere è così importante: in un processo giusto l'avvocato dell'accusa non può essere un collega e un amico del giudice. Dev'essere sullo stesso piano dell'avvocato della difesa».

Lei ha guidato il governo per circa 10 anni. L'eredità di quei governi è ancora attuale?

«Lo è, perché la serietà delle cose che abbiamo fatto è la dimostrazione della credibilità di quelle che ci impegniamo a fare. Siamo stati i soli a non aumentare le tasse ed anzi ad abbassare la pressione fiscale sotto il 40% (mentre oggi è al 43,6%). Fino a quando siamo stati al governo la disoccupazione è rimasta sotto la media europea. Abbiamo investito al Sud più di tutti gli altri governi della storia della Repubblica. Abbiamo restituito un anno di vita ai ragazzi abolendo il servizio di leva obbligatorio. Abbiamo azzerato gli sbarchi dei clandestini, portandoli a soli 4.000 l'anno: andati via noi è ripresa l'immigrazione incontrollata. Questo senza contare la grande politica estera della quale abbiamo parlato al principio di questa intervista. Insomma, non solo possiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto, ma siamo determinati, sulle stesse basi, a costruire un grande futuro per l'Italia».

Un'ultima domanda. Lei svolge una funzione «equilibratrice» nel centrodestra e, in generale, nella politica italiana. Qualora vincesse il centrodestra immagina per lei un ruolo istituzionale o internazionale?

«Non ci ho pensato e, del resto, per me non ho nulla da chiedere.

Dalla politica e dalla vita ho avuto tutte le soddisfazioni che potevo desiderare. Mi rimane solo il senso del dovere, al quale mi hanno educato i miei genitori, che mi impone di fare qualcosa per il mio Paese, per il Paese che amo».

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