Il Renzi pensiero racchiuso nell'Avanti, suo libro fresco di edicola? Dare le colpe agli altri. Un bel lavaggio di coscienza in stile Rotowash con annesso lancio di fango a terzi. Le sue responsabilità? Zero. Dal golpe con cui si ammazzò il governo Letta alla scissione nel Pd passando per il fiscal compact e il caso Marò: Renzi non c'entra mai nulla, non c'era; e se c'era ha subito gli errori altrui. Lui no, non falla. Fa. E non sbaglia mai piegando la realtà come fosse un panetto di Das pro domo sua, spesso rasentando il grottesco. Come quando rilegge la cacciata da palazzo di Chigi di Enrico Letta, per di più sbeffeggiato con il celebre «enricostaisereno». «Un'operazione politica voluta in primis dall'allora minoranza del Pd», scrive. Non era lui che scalpitava per fare le scarpe al collega di partito e prenderne il posto? Nient'affatto: «Fu Roberto Speranza a propormi di prendere in mano il timone - verga Renzi -. L'idea che si sia trattato di una coltellata alle spalle è una fake news alimentata da un nutrito club di editorialisti monotoni». E poi, che si capisca di che razza sia, Matteo ammette: «Comunque l'operazione la rifarei perché ha smosso l'Italia». Chapeau.
Proprio la sua sfrontatezza - innegabile - ha creato fratture gigantesche anche tra i suoi compagni, a molti dei quali sta sulle croste. Ma anche qui, lui non c'entra. La scissione del Pd? «I maestri del logoramento se ne sono andati non per il jobs act, la buona scuola, le unioni civili... Ma quando hanno capito che non sarebbero stati rieletti». Rasoiata a Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, considerati «gufi» per usare un eufemismo. Con D'Alema sono botte da orbi e, ovviamente, non è consentita critica alcuna. Il lìder Massimo parla di Unione? «Viene evocata la stagione dell'Ulivo da parte di leader politici che allora stavano contro. O dall'esterno, in Riforndazione, come Giuliano Pisapia. O dall'interno, a cominciare da Massimo D'Alema che quell'Ulivo contribuì in modo decisivo a segare».
Lui, bullo in Patria, spesso in Europa è stato prono. Ma anche su questo, nel libro, non c'è un rigo di una seppur pallida autocritica. Così, il fiscal compact è «uno scriteriato accordo che Mario Monti s'è fatto imporre dall'Europa». Il Professore aveva provato ad eccepire che in realtà Renzi non sapeva trattare con gli altri leader europei. La risposta di Matteo è altezzosa: «Se trattare significa cedere sul fiscal compact o sulle banche, è vero». Staffilata a Monti anche sulla vicenda dei marò: «Sono stati esposti alla stampa e alle tv perché i governi tecnici amano la visibilità». Lui, invece, la visibilità la rifugge.
Anche sul pasticcio delle banche va in scena il Renzi in versione Ponzio Pilato: «Io amico delle banche? Non è vero. Quando arriviamo a palazzo Chigi il dossier banche è uno di quelli più spinosi - ammette - Ma ci affidiamo quasi totalmente alle valutazioni e alle considerazioni della Banca d'Italia. E questo è il nostro errore». Le banche sono una spina nel fianco di Renzi e del suo governo e l'ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, che ha raccontato dell'interessamento dell'allora ministro delle Riforme Maria Elena Boschi per l'acquisto di Banca Etruria, naturalmente ce n'è andato di mezzo: «Ferruccio De Bortoli ha una ossessione personale per me che stupisce anche i suoi amici», dice piccatissimo l'ex premier. E ancora: «De Bortoli ha avuto un pregiudizio politico e castale».
Autocritica? Macché: ne è allergico. La invoca, invece, per gli altri. Quelli che vollero la guerra in Libia, per esempio: «Le colpe per l'intervento sulla Libia nel 2011 è un dramma totale del quale dovrebbero scusarsi in tanti a cominciare da Cameron a Sarkozy.
E anche in Italia nessuno tra gli autorevolissimi protagonisti istituzionali di quella scelta a differenza di Obama ha mai avvertito l'esigenza di una sana autocritica». Riferimento all'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ce n'è proprio per tutti. Tranne che, ovviamente, per se stesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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