Letta porta a casa il seggio e allontana il voto anticipato

Il segretario già si prepara alla partita del Quirinale. Snobbato Conte: sarà lui il federatore della coalizione

Letta porta a casa il seggio e allontana il voto anticipato

Non parla solo da vincitore, Enrico Letta. Al tramonto di una «giornata straordinaria», il leader del Pd guarda oltre il successo nei comuni dove si è votato, e parla da premier in pectore.

E, ancor prima, da aspirante regista della partita più importante dei prossimi mesi: quella per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Con una mano subito tesa a colui che chiama «il federatore del centrodestra, senza il quale non possono vincere». Ossia Silvio Berlusconi.

Enrico Letta entra «con emozione, e non per controllare le truppe» in Parlamento, vincendo nel collegio di Siena. E può festeggiare «il grande successo del Pd e del centrosinistra» nelle città vinte al primo turno (Milano, Bologna, Napoli) e in quelle dove va in ballottaggio, come Torino e (con più fatica) Roma. Un successo, dice, che ha varie ragioni: «Abbiamo privilegiato l'unità, nel partito e nel centrosinistra, ma anche nel paese, con il quale siamo tornati in sintonia», dice con afflato ecumenico. Il leader del Pd dà subito una risposta a chi, nel suo stesso partito, teme che i risultati di oggi facciano crescere nel segretario la tentazione di forzare i tempi e andare al voto anticipato nel 2022, alla testa di una «coalizione allargata», come la definisce: «La vittoria del centrosinistra - scandisce Letta - rafforza l'Italia perché rafforza il governo Draghi». Un messaggio rivolto a chi, come la corrente di Base riformista (assai forte nei gruppi parlamentari) già metteva le mani avanti: «È una vittoria del Pd che è garanzia di realizzazione dell'agenda Draghi», diceva nel primo pomeriggio Alessandro Alfieri. Anche Andrea Orlando assicura che «il voto rafforza il governo». A conferma che il timore, nelle file dem, sta circolando e che le «truppe parlamentari», che dovranno votare per il Colle, vanno rassicurate e tenute buone.

Una cosa appare certa: dopo i risultati di ieri, Enrico Letta non ha più alcuna intenzione di cambiare la legge elettorale per tornare al proporzionale, come chiede parte del Pd: il vituperato Rosatellum di Renzi, con i suoi collegi che spingono alla coalizione, diventa il miglior strumento in mano a Letta per tenere dentro, e assoggettare, i Cinque Stelle, Renzi, Calenda e anche - chissà - pezzi di centrodestra in fuga dal sovranismo fallito nelle urne: «Abbiamo dimostrato che la destra è battibile, mentre fino a qualche mese fa la loro vittoria», sottolinea Letta.

Che annuncia anche un cambio di agenda: «Ora ci occuperemo di lavoro, giovani, salute, energia». Non più bandierine identitarie come il ddl Zan e il voto ai sedicenni, che servivano a fidelizzare il popolo di sinistra in campagna elettorale. Ora si fa sul serio, e si punta alla guida del governo. Da capo coalizione: non a caso, in tutti i suoi commenti di ieri, Letta non pronuncia mai il nome di Giuseppe Conte. Ormai destinato, dal tracollo elettorale, a fare da reggicoda al Pd. «Saremo la nuova Sel, stampella di Letta», ammette un parlamentare grillino.

Mentre il segretario democratico lancia segnali di amicizia a Calenda: «Le nostre strade dovranno convergere».

Roma, del resto, è l'unica zona d'ombra del medagliere di ieri: Roberto Gualtieri fatica ad andare al ballottaggio, e la vittoria al secondo turno non è in discesa. Anche perché nel Pd ammettono che è tutt'altro che scontato che il voto populista e destrorso della Raggi vada a lui.

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