
Due anni fa, Silvio Berlusconi dichiarava che la guerra in Ucraina andava fermata subito. In un coro di indignazione, spiegava come fosse necessario aprire immediatamente un tavolo di pace, con garanzie di sicurezza e ricostruzione per Kiev. Sacrificato sull'altare del pensiero unico, gli diedero del rincoglionito.
Oggi le condizioni in Ucraina sono molto diverse. Putin sembra destinato a vincere, rimpolpato il fronte da tre anni di investimenti al 10% del Pil. L'occidente si è riscoperto diviso. L'Europa più fragile che mai, compattata all'improvviso non da una visione comune, ma dalla paura di ritrovarsi sola in un mondo troppo veloce. L'illusione che Mosca sarebbe stata fiaccata, prima o poi, da anni di guerra e sanzioni si è dissolta nella contemporaneità. Non esiste alcun fondo per la ricostruzione dell'Ucraina, salvo la surreale proposta di Macron di chiederlo alla Russia.
Difendere l'Ucraina era giusto ieri e lo è oggi, sia chiaro. Garantirle la sicurezza futura è una necessità non negoziabile in qualsiasi tavolo di pace, nell'interesse di tutti i Paesi europei e di un equilibrio globale altrimenti troppo precario. Non può bastare, a questo scopo, la sola presenza di lavoratori americani in Ucraina, vero oggetto dell'accordo saltato sulle terre rare tra Washington e Kiev. Per ora. È in gioco il futuro dell'Europa, intesa come forza capace di avere un ruolo tra le grandi potenze globali dei prossimi decenni. Ma la geopolitica non si arma con l'ideologia, altrimenti diventa una crociata. E l'Ucraina di crociate non ne ha bisogno, perché dopo la guerra rischia di perdere anche la pace.
Il rischio che corriamo, ancora una volta, è pensare che Trump stia improvvisando. La sua geopolitica è quella dell'Art of the Deal, più coerente alle logiche imprenditoriali che politiche, con cui ci affanniamo ancora a interpretarlo. È sempre il solito copione, che si tratti di Messico o Canada, Libano o Gaza, Ucraina prima e Russia poi. Insulti, minacce, dazi e trattative al limite della rottura, per rimangiarsi tutto con un sorriso appena ottenuto il risultato. Distratti dai meme e dagli scandali lanciati dallo stesso Trump per dettare l'agenda, ignoriamo strategie che pur affondano le radici nelle dottrine statunitensi degli ultimi decenni. Il politologo Robert Kagan, nel suo celebre Power and Weakness, spiegava più di vent'anni fa la differenza tra Stati Uniti ed Europa vista da Washington. L'America viene da Marte, l'Europa da Venere. Un equilibrio che vede gli Usa garanti della sicurezza europea, ma che da tempo gli americani considerano insostenibile. Così, anche il vecchio continente non è immune all'impatto distruttivo di Trump.
Abbiamo vissuto un mondo in cui l'Europa, protetta dall'ombrello Usa, trattava risorse energetiche a basso costo dalla Russia, mantenendola di fatto nell'orbita occidentale. La guerra in Ucraina ha mandato tutto in frantumi. Oggi la Russia vende il suo gas alla Cina, finanziando indirettamente all'infinito il fronte ucraino proprio attraverso Pechino. Trump vuole ribaltare il tavolo, puntando sulla pace in Ucraina come traino di più obiettivi: un'Europa finalmente e davvero impegnata a investire di più nella difesa, la rottura del nuovo pericoloso asse Mosca-Pechino, l'avvicinamento diretto alla Russia come partner energetico.
Il primo lo sta già raggiungendo, con il piano di riarmo annunciato da Von der Leyen,
auspicato e mai ottenuto da decenni proprio dagli USA. I leader europei, riuniti a Londra, parlano poi finalmente di un piano di pace con garanzie di sicurezza per Kiev. Forse Berlusconi non era così rincoglionito. Anzi.
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