Dal Libano alla Siria, le mosse di Tajani al "fronte"

Il ministro in Medio Oriente per pacificare la zona e contenere le spinte jihadiste

Dal Libano alla Siria, le mosse di Tajani al "fronte"
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Italia protagonista sui dossier caldi delle crisi internazionali. Non solo il miracolo Sala, la giornalista liberata in appena tre settimane dalle galere iraniane. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ed il suo vice, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sono in prima linea dall'Ucraina al Medio Oriente. Peace with strength, pace difesa dalla forza, è la linea che ha in testa il nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, sintetizzata dalla premier Meloni. Alle porte del terzo anno di guerra l'obiettivo è «congelare» il conflitto, ma non certo darla vinta ai russi. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, non è venuto a Roma solo per l'incontro saltato con Biden a causa del disastroso incendio di Los Angeles, ma per ribadire «fiducia e gratitudine» al governo italiano. Kiev sa bene che Meloni rappresenta l'esecutivo più stabile fra i grandi della Ue ed è un'alleata di riferimento di Trump in Europa. Proprio nelle ore della visita è stato confermato che Zelensky incontrerà il nuovo presidente americano dopo la cerimonia di insediamento del 20 gennaio.

Sul fronte mediorientale, Tajani, è volato in Siria, primo ministro degli Esteri del G7 ad incontrare il nuovo leader del paese, Ahmad al Shaara, dopo la nomina del presidente libanese, Joseph Aoun, fortemente sostenuta dall'Italia. Nelle due ore di colloquio con il talebuono di Damasco, o presunto tale, Tajani ha avuto «l'impressione di una persona pragmatica, che vuole avere un rapporto con l'Italia molto forte». Il nostro paese «intende giocare un ruolo da protagonista - sostiene il vicepremier - credo che si debba dare un'apertura di credito al nuovo governo collaborando nell'interesse della stabilità». I nodi da scogliere sono tanti compresi gli arsenali di armi chimiche, non ancora bombardati dagli israeliani, ed i volontari della guerra santa, che dopo la caduta di Assad circolano liberamente per il paese. L'Italia fa da scudo alla minoranza cristiana, che assieme ad altre fasce della popolazione vede incrinarsi la speranza delle prime settimane dal crollo del regime. Fonti del Giornale denunciano «insicurezza e rapimenti lampo per ottenere riscatti». Al Joulani parla bene, ma fuori Damasco i barbuti razzolano male: nel quartiere cristiano Souleimanie di Aleppo «sono andati in giro armati sui loro fuoristrada gridando alle donne che dovevano coprirsi con il velo». Il nuovo capo di stato maggiore è un barbuto doc, come il ministro della Giustizia, che qualche anno fa presenziava alla lapidazione delle adultere nel Califfato di Idblib. Quello della Difesa si era fatto immortalare mentre fracassava una statuetta della Madonna. Le elezioni sono di fatto rinviate «magari fra 4 anni» ha fatto sapere al Joulani. Tajani dopo Damasco ha incontrato il neo eletto presidente del Libano, il generale cristiano Joseph Aoun, dopo due anni di stallo dettato da Hezbollah. «È un mio amico e dell'Italia» ha sottolineato Tajani spiegando che si tratta di «una tappa fondamentale e importante per il Libano e il Medio Oriente». Aoun è appoggiato, oltre che dal nostro paese, da Usa, Francia, Egitto e Qatar. Il presidente è il comandante in capo dell'esercito libanese, che si sta dispiegando nel sud del Libano da dove si devono ritirare gli israeliani. E lo stesso dovrebbe fare Hezbollah, a 30 chilometri dal confine, oltre il fiume Litani. Nel rafforzare l'esercito libanese giochiamo un ruolo cruciale con il generale Diodato Abagnara, che comanda il Comitato tecnico militare.

I membri del Comitato sono Canada, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti. L'obiettivo è la pacificazione, spiega Tajani da Beirut, «in questa zona, nel Mediterraneo per arrivare fino al Mar Rosso», dove ieri americani e inglesi hanno bombardato lo Yemen.

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