Libertà di stampa: l'ultimo verdetto del tribunale rosso che declassa l'Italia

Un tonfo di cinque posizioni. Dalla 41esima alla 46esima. Il giorno della libertà di stampa diventa il giorno della requisitoria contro il governo e la maggioranza che minaccerebbero la dignità dell'informazione

Libertà di stampa: l'ultimo verdetto del tribunale rosso che declassa l'Italia
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Un tonfo di cinque posizioni. Dalla 41esima alla 46esima. Il giorno della libertà di stampa diventa il giorno della requisitoria contro il governo e la maggioranza che minaccerebbero la dignità dell'informazione. Il ranking viene aggiornato dai francesi di Reporter sans frontières e diventa un caso di risonanza internazionale. Ancora di più, perché fra le cause della scivolamento c'è la trattativa, non la vendita perché non c'è ancora stato nulla, dell'agenzia di stampa Agi al gruppo Angelucci, editore fra l'altro del Giornale.

Ora si può legittimamente criticare il possibile ingresso della testata nell'orbita dell'imprenditore e deputato Antonio Angelucci, come fa la sinistra che denuncia un ipotetico «conflitto di interessi», ma insomma, ci vorrebbe pure il senso delle proporzioni. E invece classifiche e dichiarazioni fanno pensare che siamo tutti imbavagliati e manipolati, una provincia del Terzo mondo, o quasi, che presto se la giocherà, se continua a sprofondare, con l'Africa più arretrata e autoritaria, fanalino di coda con l'Eritrea, preceduta a sua volta dalla Siria. Peccato, nel 2023 l'Italia aveva recuperato 17 posizioni rispetto al 2022, quando si era classificata cinquantottesima. Adesso si precipita di nuovo. E facciamo peggio di Tonga e Fiji. Nel rapporto si sottolinea il fatto che in molti Paesi gruppi politici «orchestrano l'acquisizione di ecosistemi mediatici, sia di media di proprietà statale che sono finiti sotto il loro controllo, sia di media privati attraverso l'ingresso di loro alleati». Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. Questo in generale. In Italia? «In Italia - è l'allarme è lanciato da Rsf - un parlamentare della maggioranza sta cercando di acquisire la seconda agenzia di stampa, l'Agi». Di proprietà dell'Eni che non ne vuole più sapere. «Stiamo facendo le nostre valutazioni - ha spiegato nei giorni scorsi l'ad di Eni Claudio Descalzi - stiamo cercando di capire se ci sono altre società interessate. Eni è una società di energia, non un editore, e gli ultimi dieci anni abbiamo già ricevuto altre proposte ma non sono state ritenute coerenti». Dunque, si discute. E intanto l'Afghanistan spegne le libertà, e a Gaza i reporter muoiono sul campo. In questo modo tutta la vicenda, che dovrebbe essere considerata senza strumentalizzazioni, prende una piega drammatica, quasi insostenibile. E la sinistra coniuga il capitolo Agi, non ancora definito, con la narrazione di Tele Meloni e l'avanzata del centrodestra fra monitor e programmi. «Oggi nel Paese - spiega la senatrice Enza Rando del Pd - vediamo un rischio reale per la libertà d'informazione».

«Oggi - aggiunge il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia - è il giorno della libertà d'informazione ma c'è poco da festeggiare.

La Rai è completamente alla mercé del governo con ospiti censurati, direttori di giornali convocati in Commissione Antimafia, giornalisti indagati per le loro inchieste».

Infine, Alessandra Costante, segretaria della Federazione nazionale della stampa italiana, sottolinea che Rsf «ha acceso un faro sulla vicenda Agi». E l'Italia diventa quasi un sorvegliato speciale.

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