Omicron spadroneggia. Anche in Italia. Molto di più di quanto dicano i dati «ufficiali». L'ultima «flash survey» dell'Iss è relativa alla giornata del 20 dicembre: quel giorno il ceppo sudafricano veniva considerato responsabile del 21 per cento dei contagi, mentre la Delta era prevalente. Ma è chiaro che è una fotografia vecchia. Il 20 dicembre infatti si contavano 16.213 contagi. Ieri, due settimane dopo il bollettino registra 68.052 casi. Considerando che il 20 dicembre i casi Delta erano 12.800 e che secondo quello che era l'andamento della crescita fino ad allora (attorno al 20 per cento a settimana), ora possono essere stimati al massimo in 18mila i restanti 50mila sono attribuibili a Omicron. E quindi il 73,5 per cento. Del resto l'Istituto Zooprofilattico ha stimato all'incirca al 65 per cento il peso di Omicron nel nostro Paese mentre un monitoraggio compiuto nelle acque reflue del Veneto registra una presenza di Omicron addirittura all'80 per cento. Anche l'Iss ha analizzato le acque reflue e arriva a una stima del 28,4 per cento ma tra il 5 e il 25 dicembre. Quindi numeri vecchi. Per Mauro Pistello, direttore dell'unità operativa di virologia dell'Azienda ospedaliera universitaria pisana, «gli ultimi giorni dello scorso anno eravamo già oltre l'80 per cento dei casi».
Ieri in realtà è stato un giorno interlocutorio per Omicron. Due giorni festivi di fila (ricordiamo che il bollettino sconta un giorno di ritardo, quindi i dati di ieri si riferivano a domenica 2) hanno frenato per poco il volo della variante. Ieri come detto 68.052 nuovi contagi ma come sempre nei giorni festivi (nei quali si fanno soprattutto tamponi «mirati») un tasso di positività molto elevato, pari al 15,28 per cento, comunque più basso rispetto al giorno precedente. I contagiati attuali sono 1.125.052, ma con la prevedibile nuova impennata a partire da oggi (160mila? 170mila?) presto come fa notare Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, «rischiamo di intasare gli ospedali perché si può arrivare a 2 milioni di positivi».
In realtà gli ospedali si vanno riempiendo ma molto lentamente: i ricoveri sono cresciuti di 577 unità arrivando a 12.333 e le terapie intensive di 32 arrivando a 1.351. Interessanti questi dati: in sette giorni l'incidenza dei contagi è aumentata del 163,23 per cento, i ricoveri ordinari del 26,84 per cento, quelli in terapia intensiva del 19,98 per cento, la mortalità settimanale del 5,95 per cento (ieri 140 decessi). Insomma, più le conseguenze del contagio sono serie, meno i numeri crescono. Dimostrazione che Omicron è un cane che abbaia ma morde pochissimo.
Per quanto riguarda le regioni, da ieri sono 11 in giallo mentre da lunedì prossimo almeno altre quattro si tingeranno. Già ieri infatti Campania, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria avevano numeri «colorati» mentre Abruzzo e Val d'Aosta sono vicinissime. Da lunedì 10 c'è il rischio che restino in bianco soltanto Basilicata, Molise, Puglia e Sardegna: 6,4 milioni di italiani, poco più del 10 per cento della popolazione totale. Non solo: la Liguria da ieri con il 30,16 per cento di occupazione dell'area non critica e il 21,00 per cento di occupazione delle terapie intensive è già praticamente certa di finire in arancione.
Altri numeri quelli delle vaccinazioni, che stanno riprendendo a galoppare. Il motivo? La corsa alla terza dose, l'inizio della campagna di immunizzazione dei bambini tra i 5 e gli 11 anni, qualche No Vax che torna sui suoi passi. Fatto sta che ieri sono state somministrate ben 322.476 dosi, delle quali 266.181 terze, 20.874 seconde e 35.421 prime. Ieri il totale delle persone con almeno una dose e quelli guariti da meno di sei mesi ha raggiunto i 48.488.145, pari al'89,77 per cento della popolazione «over 12» e quindi vicinissimo a quel 90 per cento fissato a suo tempo come obiettivo dal commissario Francesco Paolo Figliuolo. Anche se si considerano soltanto i bivaccinati e i guariti la percentuale è molto alta, l'86,67 per cento. Oggi si dovrebbero toccare i 20 milioni di vaccinati con la terza dose: ieri eravamo a quota 19.906.208 (il 64,21 per cento della popolazione attualmente eleggibile per il booster).
Il ritorno al funzionamento a pieno regime degli hub vaccinali è una buona notizia ma nasconde un'insidia. Che presto o tardi non ci siano abbastanza dosi per accontentare tutte le richieste. Se si dovesse tornare ai ritmi di dicembre, con una media di mezzo milione di somministrazioni al giorno, le dosi attualmente in frigorifero, pari a 2.530.364, servirebbero per coprire appena cinque giorni.
Anche se Figliuolo ci rassicura così, un po' in burocratese: «Il fabbisogno di vaccini per il mese di gennaio verrà assicurato dalle dosi di Pfizer e Moderna nella disponibilità della struttura commissariale. Nel complesso, i quantitativi sono in grado di esprimere una potenzialità di 26 milioni di somministrazioni». Il commissario si dà per gennaio l'obiettivo di 15 milioni. Sarebbe questa la risposta giusta.
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