Ermanno Scervino fa un incantesimo sul corpo femminile restituendogli la forma della clessidra senza costringere le donne a infilarsi nella prigione del corsetto. Merito di una seria sperimentazione sartoriale che ha permesso allo stilista di costruire splendide giacche e bellissimi abiti a bustier che fanno un vitino da vespa e dei fianchi da bajadera anche a chi porta un'onesta 44. Il tutto senza stecche di balena, ganci, lacci e pesanti tessuti contenitivi che fino agli anni '20 del secolo scorso stringevano le donne fino a farle svenire. «È una questione di tagli e cuciture ma anche di come le sarte posizionano il tessuto nei punti cruciali» spiega Toni Scervino poco prima della sfilata che si svolge su un'unica canzone (I put a spell on you, ovvero «ti ho fatto un incantesimo») nelle struggenti interpretazioni di Annie Lennox, Brian Ferry, Credence Clearwater Revival e Nina Simone. Il resto è moda. Con le gonne molto corte oppure con le braghette lunghe quanto la giacca in alternativa agli abiti a sottoveste color carne. Tra le tinte previste per il prossimo inverno si ricorda un bel tono di verde tra loden e salvia declinato anche nel coccodrillo stampato e nei giacconi di shearling ricamati in lana e pelle con gli stessi motivi che si ritrovano sui doposci in pelo o montone. Insomma non è un caso se il brand toscano fa il 90 per cento del proprio fatturato con l'abbigliamento, il contrario di chi fa moda solo per vendere accessori. Molto diversa ma comunque strepitosa la sfilata che Elisabetta Franchi dedica allo stile de college inglesi tipo Oxford, Eton e Cambridge togliendo il lato scandaloso alla spietata e sublime rilettura estetica che ne ha dato il film Saltburn di Emerald Fennell. Per cui sugli abiti da sera in luccicanti paillettes gialle o bordeaux le ragazze s'infilano i cardigan dei compagni di corso che giocano a rugby, sotto alle giacche delle seriose uniformi scolastiche compaiono minigonne e kilt volutamente accorciati, mentre il cappotto di lui finisce sulle esili spalle di lei con il logo trasformato in stemma studentesco. Da Ferrari si vede la più bella tra le sei bellissime collezioni disegnate finora da Rocco Iannone, uno che ha imparato a far le giacche da un signore di nome Armani e che ha un istinto naturale per il lusso e la tecnologia. Riesce infatti a tirar fuori la luce da ogni tipo di materiale compreso il velluto mescolato a fili metallici tra cui l'oro vero, il denim spalmato, la pelle e il raso duchesse. Poi li plasma in forme che danno potenza alla geometria variabile dei corpi utilizzando i classici colori delle Ferrari: rosso fiammante, nero lucente, grigio metallizzato, argento e bianco. Sui materiali scrive una bella pagina anche Paolo Zuntini co-fondatore e responsabile dell'ufficio stile uomo di Eleventy. Fedele all'idea di lusso consapevole che ha fatto crescere il fatturato del marchio da 65 a 90 milioni di euro in un anno, contiene i prezzi nonostante usi tessuti straordinari come il cashmere nuvola che costa 280 euro al metro oppure il lama che è molto simile all'alpaca per leggerezza e qualità. Da Marni si festeggiano i 30 anni del brand con una collezione poetica e strampalata allo stesso tempo in cui le sottovesti diventano triangoli e il pelliccione ecologico maculato ha un po' la forma del costume da Gabibbo. Del resto Francesco Risso ha un'estetica da bambino disturbato e anche per questo lo adoriamo. Massimo Giorgetti fa un buon lavoro sul bon ton dei cosiddetti cigni della V strada narrati da Truman Capote sabotandolo eppure amandolo faceva la donna che ha inventato il punk: Vivienne Westwood. Da Ferragamo la moda non è male ma le scarpe sono assurde: con il tacco sottile e altissimo spostato al centro del piede oppure senza linea sotto al marabù.
Forse il designer Maximilian Davis si è dimenticato di lavorare per il brand che ha inventato le scarpe più belle e comode che ci siano. Jil Sander comincia con 85 minuti di ritardo, una cosa scandalosa: se la gente non arriva peggio per chi sfila in periferia.
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