L'industria dell'auto contro lo stop ai motori termici

La preoccupazione di produttori e sindacati. Il viceministro Pichetto: "Settore in pericolo"

L'industria dell'auto contro lo stop ai motori termici

Stop alla produzione dei motori endotermici dal 2035: l'Italia, secondo quanto espresso dal Cite (Comitato interministeriale per la Transizione ecologica) si allinea alle indicazioni della Ue e, fatto salvo l'elettrico, apre anche a idrogeno e biocarburanti (combustibili di origine biologica, in genere da coltivazioni agricole o da sostanze di scarto di agricoltura e agroindustria). Per le alimentazioni con i biocarburanti, però, servono sempre i motori endotermici, ovviamente riadattati per l'occasione. E lo stesso vale per l'idrogeno, se utilizzato in sostituzione del carburante. Come si vede, c'è molta confusione anche nelle stanze dei bottoni e annunci come quello dell'altra sera, non fanno altro che mettere nuovi dubbi a chi intende cambiare l'auto per il timore di incappare in divieti e nuovi balzelli. Interrogativi che riguardano anche chi guarda a una vettura elettrica per l'autonomia reale, la carenza di colonnine e i costi sempre troppo cari senza i bonus. Alla posizione del Cite hanno intanto replicato Anfia (filiera italiana automotive), Confindustria (il presidente Carlo Bonomi) e il sindacato Fim-Cisl (il segretario generale Roberto Benaglia).

Da parte sua, a tentare di allentare la tensione, è intervenuto il viceministro allo Sviluppo economico, Gilberto Pichetto, promotore tra l'altro del Tavolo Automotive. Nel ribadire trattarsi di «un passaggio necessario per garantire una Ue a impatto climatico zero», Pichetto osserva tuttavia che «quando si prendono decisioni a livello globale bisogna farlo non solo da un punto di vista ideologico, ma tenendo ben presenti gli interessi reali del Paese». «Le grandi scelte e gli impegni - ha aggiunto - devono innanzitutto essere condivisi da tutto il mondo oppure l'Europa, su questo fronte, perde da subito la competizione con Paesi come Cina, Russia e India». Pichetto sottolinea poi che «non si può pregiudicare la sopravvivenza di un settore che dà lavoro a tante persone e crea un importante indotto diretto e indiretto, pertanto non si può ignorare la sostenibilità economica e sociale di questa trasformazione ambientale, altrimenti il peso sarà pagato solo da famiglie e imprese». Segue l'auspicio «che la richiesta di rendere strutturali le risorse su incentivi ed ecobonus, per sostenere le vendite e aiutare il cammino verso l'elettrico, vada a buon fine». Dura Anfia, che giudica la nota del Cite «ambigua e poco chiara, smentendo la volontà espressa dal governo sulla necessità di fare scelte ponderate per ottimizzare sforzi e obiettivi della transizione». Da qui l'esigenza «di un ripensamento o chiarimento».

Bonomi (Confindustria) precisa subito di «non condividere la politica degli annunci: quante migliaia di posti di lavoro perderemo? Non si sa.

Con quali risorse accompagneremo questa transizione. Nessuno l'ha detto». E il leader Fim-Cisl, Benaglia: «Si deve consentire che la transizione sia sostenibile sul piano sociale. E ciò nel nostro Paese non sta avvenendo».

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