Linea dura italiana: sì a una Norimberga. E Guerini denuncia minacce ai deputati

La linea del Piave l'ha tracciata Mario Draghi. Che martedì scorso, nelle sue comunicazioni alle Camere, non ha esitato a spingersi in un paragone storico che non lascia molti margini a interpretazioni

Linea dura italiana: sì a una Norimberga. E Guerini denuncia minacce ai deputati

La linea del Piave l'ha tracciata Mario Draghi. Che martedì scorso, nelle sue comunicazioni alle Camere, non ha esitato a spingersi in un paragone storico che non lascia molti margini a interpretazioni. «L'aggressione della Russia verso un Paese vicino ci riporta indietro di oltre ottanta anni», ha detto il premier. Che nel suo speech in Parlamento ha sì omesso il riferimento esplicito al 1938 - l'annessione dell'Austria, l'occupazione della Cecoslovacchia e l'invasione della Polonia - inizialmente previsto nel testo dell'intervento diffuso da Palazzo Chighi. Ma che ha comunque deciso di spingersi in quello che è inevitabilmente un parallelo tra Vladimir Putin e Adolf Hitler («un'aggressione che ci riporta indietro di oltre 80 anni», dice Draghi). La conferma, dunque, del fatto che l'Italia si è ormai posizionata su una linea di decisa intransigenza, abbandonando la prudenza dei primi giorni di conflitto. Un approccio meno rigido di altri partner europei, dovuto al fatto che il nostro Paese resta uno degli Stati dell'Ue che più dipendono dalle forniture energetiche di Mosca (il fabbisogno italiano è coperto per il 43% circa dal metano di Gazprom). Ragionevole, insomma, che il premier abbia provato a conciliare i legittimi interessi economici del nostro Paese con le ragioni della democrazia, messe evidentemente in discussione dall'invasione russa dell'Ucraina.

Dopo i primi tentativi di dialogo, però, il governo ha preso coscienza del fatto che Mosca non è ad oggi un interlocutore né credibile né ragionevole. Putin ha finto di cercare un confronto con l'Occidente per settimane, ma mentre incontrava a Mosca il presidente francese Emmanuel Macron continuava a preparare l'aggressione militare contro Kiev. Ecco perché ieri Luigi Di Maio ha confermato la linea della fermezza. Insieme ad altri Paesi, spiega nel pomeriggio il ministro degli Esteri, «ho sottoscritto la procedura di attivazione della Corte penale internazionale» per «identificare la sussistenza di eventuali crimini di guerra in Ucraina». Insomma - continuando a seguire il parallelo di Draghi - esattamente come avvenne per la Germania dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il governo italiano è già pronto a dire sì a una Norimberga per Putin e i suoi crimini.

Il Cremlino, però, non ha alcuna intenzione di giocare in difesa. Il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, fa infatti sapere che «le sanzioni non resteranno senza risposta». L'ambasciatore russo in Italia, Sergej Razov, si spinge oltre. E scrive una lettera ai deputati della commissione Difesa della Camera. «Ho l'onore di inviarle la dichiarazione del ministero degli Affari esteri della Federazione russa sul ruolo dell'Ue in Ucraina. La prego di voler cortesemente portare il contenuto di questo documento a conoscenza dei deputati italiani», recita il testo della missiva indirizzato ai parlamentari con in allegato l'affondo di Lavrov contro l'Europa. L'ambasciata russa parla di «normale prassi diplomatica», il Parlamento italiano ha invece la percezione di una vera e propria minaccia. Anche perché nella mail - arrivata all'indomani del via libera trasversale di Camera e Senato all'invio di aiuti militari a Kiev - Lavrov fa sapere che «cittadini e strutture della Ue coinvolti nella fornitura di armi saranno ritenuti responsabili». A rendere nota la missiva è l'azzurro Gregorio Fontana, questore della Camera e componente della commissione Difesa. Che definisce la mail di Razov un «messaggio intimidatorio al Parlamento» che va «respinto con sdegno».

Durissima anche la reazione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. «La modalità con cui è stata trasmessa» al Parlamento la «dichiarazione» di Lavrov - spiega - dà «il senso dell'arroganza del regime russo». Poi - intervenendo a Metropolis, in onda su Repubblica.it - il titolare della Difesa fa un passo indietro. Elogia la «testimonianza» di «eroismo e resistenza» del «popolo ucraino», ma dice anche che «stiamo vivendo un clima da guerra fredda».

Anche se, spiega, «penso che la situazione sia un po' diversa» perché «Putin è isolato» e «il giudizio della comunità internazionale su quanto sta avvenendo è molto chiaro». Certo, aggiunge Guerini, vista la situazione è «improbabile» che non si vada verso un incremento delle spese militari. Anzi, «da tempo la tendenza è a crescere»: dall'1,2% del 2019 all'attuale 1,4% del Pil.

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