Come inquinare l'economia legale e vivere felici. Si chiama «invasione fiscale» l'espediente usato dalla 'ndrangheta per riciclare i proventi di narcotraffico, usura e prostituzione. Basta emettere più scontrini di quelli che si battono regolarmente per far confluire soldi sporchi nel flusso di quelli regolari, tanto lo Stato ci guadagna sempre. Il Giornale aveva raccontato questo magheggio nel libro Prodotto interno sporco pubblicato nel giugno 2020, in piena pandemia, quando la crisi della ristorazione - fiaccata dal Covid e illusa dall'elemosina del governo di Giuseppe Conte chiamata paradossalmente «ristoro» - aveva acceso gli interessi delle mafie. Detto, fatto. Se ne sono accorti quattro anni dopo i pm di Bologna (ma il fenomeno riguarda tutto il Nord) e solo grazie alle rivelazioni di un supertestimone hanno ritrovato lo stesso meccanismo di «invasione fiscale» sperimentato in Calabria anche in un noto ristorante di sushi del capoluogo bolognese: «La sera lo vedevo battere scontrini quando non c'erano clienti, ad altri dipendenti lui aveva dato l'ordine di farlo fino al raggiungimento di una certa cifra», avrebbe detto ai pm una ex dipendente del ristorante, scrive l'edizione locale di Repubblica.
Che l'Emilia-Romagna «rossa» sia diventata terreno di conquista della 'ndrangheta stupisce solo chi ha volutamente sottovalutato i segnali arrivati dal territorio, ci sono città come Reggio Emilia talmente colonizzate dai clan calabresi di Cutro (paese del Crotonese con cui la città del Tricolore è gemellata) che oggi - lo dice il procuratore capo reggiano Calogero Paci - la città è «la vera capitale della 'ndrangheta al Nord».
Il Pd e la sinistra da quelle parti fanno il bello e il cattivo tempo ma sono state appena sfiorate dalle inchieste (tanto che la Procura reggiana è stata decapitata dal Csm) senza mai accorgersi di nulla, la stessa borghesia dei professionisti si è messa a fare affari con la mafia. Quasi indisturbata.
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