L'Italia perde base (e faccia). Ma Di Maio resta al suo posto

Abbandonato il presidio di Al Minhad, negli Emirati. A rischio gli scambi con Abu Dhabi: 4 miliardi in fumo

L'Italia perde base (e faccia). Ma Di Maio resta al suo posto

Sfrattati e umiliati. Alla fine è andata come aveva deciso Mbz, ovvero Mohammed Bin Zayed, l'implacabile principe ereditario deciso a far pagare all'Italia i suoi devastanti errori politico-economici. Errori culminati con l'insensato embargo anti Emirati decretato, lo scorso gennaio, dall'ex-premier Giuseppe Conte d'intesa con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. E così adesso la base di Al Minhad, il nodo logistico che da quasi vent'anni garantiva il trasferimento degli assetti militari destinati alle missioni in Afghanistan, Irak e Somalia, è ufficialmente chiusa. Resta pericolosamente aperta, invece, la deriva della politica estera italiana affidata all'incompetenza di un ministro che in qualsiasi altro Paese - come ricorda l'onorevole Mattia Perego, rappresentante di Forza Italia in commissione Difesa - avrebbe presentato «le dimissioni con tanto di scuse per il danno arrecato al Paese». Invece neanche quest'ultimo smacco è servito. E Di Maio, per quanto tenuto al guinzaglio e guardato a vista dal premier Mario Draghi rischia di continuare a far deragliare la nostra politica estera. O quanto meno a conferirle un'immagine poco autorevole. Per questo - suggerisce sempre Perego - «il presidente Draghi dovrebbe prendere il timone della politica estera del nostro Paese, con la sua autorevolezza e leadership, per evitare che grossolani errori del genere non si ripetano».

In tutto questo l'ultimo aereo italiano ha lasciato ieri il suolo emiratino. Ora per chiudere definitivamente la questione Al Minhad bisognerà attendere lo smaltimento delle ultime formalità burocratiche affidato a una ventina di militari trasferitisi in un hotel di Abu Dhabi. Poco male potrebbe dire qualcuno ricordando che, nel frattempo, sono state chiuse anche le basi di Herat e Kabul, principali direttrici per gran parte dei voli italiani in transito da Al Minhad. Ma non è così semplice. Perdere Al Minhad non significa solo rinunciare a una connessione logistica facilmente replicabile altrove, ma anche ritrovarsi sbilanciati e disallineati nel complesso scenario compreso tra Irak e Libia dove l'Italia è inevitabilmente chiamata a giocare un ruolo.

Un disallineamento eredità delle disgraziate politiche a 5 Stelle di Conte e Di Maio che - proni all'orientamento delle lobby filo-turche - decisero a gennaio di congelare le licenze (già regolarmente concesse) per l'esportazione di circa 20mila bombe da aereo agli Emirati. Una decisione improvvida, basata sulla presunzione assolutamente erronea, che gli ordigni venissero ancora usati nello Yemen, un conflitto da cui gli Emirati sono usciti da quasi due anni. E a far inalberare l'uomo forte di Abu Dhabi s'aggiunse la scelta - assolutamente autolesionista - di bloccare anche l'assistenza e i ricambi per gli Mb339, gli aerei della Leonardo in dotazione (oltre che alle Frecce Tricolori) anche alla pattuglia acrobatica emiratina tanto cara a Mbz. Ma tutto sarebbe stato rimediabile se non fosse stato preceduto da una politica di passivo assoggettamento alla Turchia su quello scenario libico dove il presidente turco Recep Tayyp Erdogan rappresenta il principale nemico degli Emirati schierati con il generale Khalifa Haftar. In tutto ciò il primo seme della discordia era stato il fallimento, a dicembre 2018, di Piaggio Aerospaces Industries l'azienda ligure acquisita nel 2014 dalla Mubadala Development Company, Abu Dhabi, grazie ad un investimento da un miliardo di euro garantito fondo sovrano degli Emirati. La Piaggio, unica azienda europea abilitata alla produzione di droni militari, s'era impegnata a garantire agli emirati un flotta di otto droni simili a quelli messi poi in campo dalla Turchia durante il conflitto libico.

Il fallimento dell'azienda, oltre a vanificare l'investimento approvato da Mbz, aveva messo gli Emirati nell'impossibilità di contrastare la supremazia turca nei cieli libici. Ma a trasformare quell'iniziale dissapore in aperta ostilità s'era aggiunta poi l'impareggiabile insipienza di due leader come Giuseppe Conte e Luigi Di Maio.

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