ll Cile toglie Pinochet dalla Costituzione. Ma adesso rischia la fine del Venezuela

La Magna Carta, che ha garantito crescita e stabilità, cancellata anche grazie ai voti della destra, ma i precedenti non confortano

ll Cile toglie Pinochet dalla Costituzione. Ma adesso rischia la fine del Venezuela

Il Cile ha deciso di cambiare la sua Costituzione e, come previsto da tutti i sondaggi, domenica il Sì ha vinto con oltre il 78% dei suffragi. Più sorprendente del risultato il «Sì» aveva l'appoggio di tutti i partiti, compreso quello del presidente di centrodestra Sebastián Pinera - è stata l'affluenza perché, nonostante il coronavirus, circa il 60% degli aventi diritto si è recato alle urne. Molti se si pensa che, alle presidenziali del 2017, il 46% scelse di partecipare.

«Un voto storico ed un paradigma mondiale» titolava ieri con enfasi la Bbc e i motivi di tanta celebrazione sono essenzialmente due. Il primo è che è stato definitivamente reciso il collegamento con Pinochet. Nonostante numerose modifiche apportate negli ultimi 30 anni di democrazia, infatti, la struttura costituzionale, soprattutto i capitoli dei diritti economici, era ancora quella introdotta nel 1980 dalla dittatura che prese il potere con il golpe dell'11 settembre 1973. Il secondo motivo che rende unico il referendum è che, per la prima volta al mondo, l'assemblea costituente di 155 membri che sarà votata il prossimo aprile che e dovrà scrivere la nuova Magna Carta cilena, sarà composta per metà da donne.

Di sicuro l'elemento di analisi più interessante è che sino alla «rivoluzione» dello scorso anno, la maggior parte dei cileni erano stati assai timidi nel modificare la «costituzione di Pinochet», virgolette dovute viste le firme apposte in calce alla Costituzione seppellita l'altroieri dal socialista Ricardo Lagos e dall'ex ministro della Difesa di Michelle Bachelet, Francisco Vidal.

Sino all'ottobre del 2019, il mese che ha cambiato il volto del Cile che verrà con le proteste iniziate per l'aumento del 3% del biglietto della metro e finite con manifestazioni oceaniche accompagnate da atti vandalici mai visti prima a Santiago, neanche l'ex presidente Bachelet, che pure nel suo secondo mandato governava con i comunisti, pensava seriamente di pensionare la «Costituzione di Pinochet». Anche perché nei 30 anni di democrazia post dittatura e mentre quasi tutte le altre nazioni sudamericane venivano colpite da crisi economiche dolorose (basti pensare alla confinante Argentina) tanti in Cile pensavano che proprio quella Costituzione aveva gettato le basi per tre decenni di stabilità e forte crescita. Soprattutto grazie alla protezione alla proprietà privata e all'autonomia della Banca Centrale, due regole sancite chiaramente dalla Magna Carta pensionata l'altroieri.

Nessuno oggi sa come sarà la nuova Costituzione, ancora tutta da scrivere. Di certo conterrà al suo interno più diritti comuni, riferimenti alle minoranze a cominciare da quella degli indios Mapuche e un rafforzamento della scuola e della sanità statale. Il testo definitivo che uscirà dalla Costituente paritaria del prossimo anno verrà approvato nel 2022 con un nuovo referendum e con un nuovo presidente visto che, il prossimo anno, si voterà anche per il successore di Pinera alla Moneda.

Domenica scorsa è dunque solo iniziato un processo che durerà ancora due anni, un'eternità in un Paese che dall'ottobre 2019 ha cambiato il suo volto passando da modello di un capitalismo che funzionava, con i migliori indicatori regionali pro capite in termini di reddito e di istruzione, a laboratorio per un progetto di capitalismo sociale futuribile. Funzionerà? Vedremo.

Di certo c'è che in Venezuela, nel 1998, era accaduto qualcosa di simile, con tutti i giornali e gran parte degli imprenditori ad appoggiare la riforma costituzionale proposta dall'allora candidato presidenziale Chávez per sconfiggere la povertà. Com'è finita oggi è noto.

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