L'occasione persa dello smart working lasciato alla giungla di singole iniziative

Nei 258 articoli del decreto solo un cenno a chi ha minori di 14 anni. Nessuna indicazione utile per i futuri contratti collettivi

L'occasione persa dello smart working lasciato alla giungla di singole iniziative

Un treno da non perdere per alcuni, una trappola mangia-diritti per altri. L'emergenza sanitaria è stato il primo vero banco di prova dello smartworking per 4 milioni di italiani. Una platea di lavoratori divisa tra le comodità del lavoro casalingo e i limiti di una legislazione poco chiara. Da una parte i vantaggi riconducibili alla continuità aziendale e alla riduzione degli spostamenti e del contagio, dall'altra l'aumento di bollette e la sensazione che la giornata lavorativa non abbia più limiti di tempo. Pro e contro inseriti in un contesto tecnologico che presenta profonde differenze lungo la Penisola, ricalcando ancora una volta i binari di un'Italia a due velocità. Nel giorni scorsi in un question time al Senato la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha proposto un tavolo di confronto per implementare a livello legislativo lo smartworking, ma l'unica novità tra i 258 articoli del nuovo Decreto Rilancio sarà il diritto dei dipendenti di aziende private con almeno un figlio minore di 14 anni di lavorare da casa fino al 31 luglio. Un po' poco se si considera che il Protocollo di sicurezza del Dpcm del 26 aprile «raccomanda fortemente il lavoro a distanza» anche nella fase 2. Il terreno normativo rimane, dunque, la legge 81/2017, contenuta nel Jobs Act, che disciplina il lavoro agile con accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore.

Accordi nazionali. La crisi attuale è un'occasione irripetibile per la sottoscrizione di contratti collettivi spiega Christian Gambarelli, segretario della Fim Cisl Milano . Chiediamo due interventi al legislatore: allo smartworker deve essere fornita una strumentazione tecnologica adeguata con una copertura forfettaria dei costi del consumo energetico e deve essere riconosciuto il lavoro straordinario oltre le 8 ore canoniche attraverso un sistema retributivo che preveda il superamento del cottimo digitale». Secondo una recente indagine di Bloomberg gli smartworker lavorano tre ore in più al giorno rispetto ai colleghi in ufficio, un surplus che genera un impatto negativo su vita privata e tempo libero.

Mentalità. «Ci vuole un cambio di marcia che eviti di relegare lo smartworking al semplice lavoro da remoto spiega Michel Martone, professore di Diritto del Lavoro all'Università Sapienza ed ex viceministro con Mario Monti -. Il Coronavirus ha dimostrato che si può fare senza aggravi burocratici. Anzi per molti lavoratori è stato l'unico modo di conservare il posto e per molte aziende di ridurre il peso sulla cassa integrazione e nei prossimi mesi sarà un'arma per contrastare la disoccupazione». I vantaggi sono evidenti: la letteratura economica dimostra che dopo una prima fase di assestamento il lavoro agile aumenti la produttività e diminuisca i costi di gestione. «Per godere di questi benefici, però, è necessaria una grande opera di alfabetizzazione digitale soprattutto per le pmi conclude Martone . Un piano che consenta di superare la vecchia logica ora lavorata/retribuzione e conduca ad un più complesso sistema di obiettivi. Solo dando maggiori libertà nell'organizzazione della giornata lavorativa si otterranno performance migliori».

Trend in crescita. Secondo una ricerca di Unioncamere, il 24,6% delle imprese tricolori è arrivato preparato alla prova del lockdown, avendo innovato il proprio modello organizzativo tra il 2015 e il 2019. Stando ai dati diffusi, ad investire sul lavoro agile sono state soprattutto le imprese più grandi: nello specifico, il 53% delle aziende con più di 500 dipendenti.

L'ambiente. Un uso su larga scala del lavoro agile ha avuto impatto positivo sull'ambiente con una contrazione delle emissioni di CO2 del 35%.

«Basterebbe anche un solo giorno a settimana di smartworking per i tre quarti dei lavoratori che utilizzano l'automobile - rivela uno studio di Enea - per ridurre del 20% il numero di km percorsi in un anno. In questo modo si otterrebbe un risparmio di circa 950 tonnellate di combustibile, e una riduzione di 2,8 milioni di tonnellate di CO2».

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