Non c'è niente di più inutile delle lacrime, e nulla dà più soddisfazione e senso di potere a chi le ha provocate. Ieri l'ayatollah Ali Khamenei, nel giorno dell'anniversario dell'uccisione di Mahsa Amini, poteva pianificare l'uso dei sei miliardi di riscatto che gli Stati Uniti gli verseranno per suoi uomini rapiti, pretendendo che non sia una frattura nel regime di sanzioni, ma ben sapendo che l'effetto è più vasto, è il rafforzamento del regime. «Il peggior accordo mai fatto - ha detto Mike Pompeo - adesso rapiranno ancora per avere altri soldi, e finanzieranno il terrorismo».
L'Iran si sente forte: per ideologia, per struttura politica, per disprezzo delle donne, per specifica affermazione del suo ruolo nel mondo, ha ucciso Mahsa Amini ed è così sicuro di sè che ieri suo padre Amjad Amini è stato senza vergogna trattenuto dalla polizia che gli ha ucciso la figlia. Siano Basiji, Pasdaran, Guardie della Rivoluzione, tutti sparano, picchiano, fanno parte della piramide in nome di Dio che ha anche ripristinato quei «guardiani della morale» che aveva finto di abolire: il regime li ama. Così seguiteranno a colpire ovunque, se il consesso internazionale non si deciderà per una politica concreta che blocchi l'Iran dall'esercitare violenza, dal minacciare, dal terrorizzare.
Ali Khamenei sa bene che non sarà scalzato dagli slogan, dalle marce, dall'ira dei difensori diritti umani. Il suo è un abile sistema della paura e del ricatto: il suo bellissimo Paese è alla testa di tutte le classifiche del terrorismo internazionale, le sue Guardie della Rivoluzione sono incaricate di «una missione ideologica della Jihad ovvero di estendere la sovranità della legge di Dio su tutto il mondo». Gli Stati Uniti e ora il Regno Unito finalmente le ritengono illegali, e questo esempio dovrebbe essere seguito in tutto il mondo. L'Iran minaccia esplicitamente di morte cittadini stranieri, ebrei, personalità come Mike Pompeo e John Bolton; minaccia di distruzione lo stato di Israele, sostiene a suon di miliardi gli Hezbollah tramite i quali tiene sotto mira coi suoi missili tutto il Medio Oriente; finanzia Hamas, la Jihad Islamica, gli Houty, dalle loro guerre ricava il suo potere che cresce anche in traffici internazionali sudamericani; disegna una mezzaluna di potere che include anche l'Iraq, arriva fino al Golfo Persico, ne controlla il passaggio, pirateggia in mare.
Ancora: seguita a costruire armi balistiche e arricchisce l'uranio fino a limiti ormai vicinissimi alla bomba atomica. Finora l'80 per cento ma presto senza più limiti. Teheran sfida apertamente l'Aiea, l'agenzia dell'Onu sull'energia atomica, e ha ieri cacciato un terzo degli ispettori in una misura che il direttore generale Rafael Mariano Grossi ha definito «sproporzionata». Fornisce a Vladimir Putin i droni per la sua guerra. Intanto, tuttavia, il presidente Ebrahim Raisi all'incontro in Sud Africa del BRICS con l'aiuto russo e cinese è già stato ammesso come osservatore, mentre è già nello SCO, la Shanghai Cooperation Organization. La Russia e la Cina lo sponsorizzano, e le sue operazioni si estendono all'Asia, all'America Latina, all'Africa. Ma il presidente statunitense Joe Biden è molto cauto: non vuole complicazioni fino alle elezioni del 2024. Così il muro indispensabile di sanzioni è stato infranto: sei ostaggi americani verranno rilasciati per l'enorme cifra di 6 miliardi e mezzo di dollari, che sorpassa di gran lunga il miliardo e 600mila che Obama pagò per quattro americani.
Questi soldi nelle tasche del regime che perseguita i suoi cittadini e porta guerra a mezzo mondo, dovrebbe far gridare un sonoro «no» a tutti i movimenti che
vogliono proteggere le donne, i dissidenti, gli omosessuali iraniani. I diritti umani sono una funzione del potere, e quindi lo scontro per proteggere le donne passa da una decisione, finalmente, su come contrapporsi al regime.
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