Viene a volte il sospetto che Donald Trump parli come un disco rotto. Che non abbia molte frecce al suo arco, e che per questo si ritrovi a riproporre a interlocutori diversi gli stessi e ormai logori cavalli di battaglia. Il suo tweet del mattino di ieri, dedicato a Theresa May, ribadiva i medesimi concetti esposti 15 giorni fa (e ricordiamo con quali deludentissimi esiti) al leader nordcoreano Kim Jong-un: «La mia amministrazione non vede l'ora di negoziare un accordo commerciale su larga scala con la Gran Bretagna. Il potenziale è illimitato!». Il messaggio alla premier britannica, disastrosamente avviluppata dalle conseguenze di una Brexit che non ha voluto ma che si è testardamente impegnata a gestire, è il solito invito a trattare da solo a solo con gli Stati Uniti, allargando definitivamente il solco che già divide Londra dall'Europa. Immancabili, come già invano prospettato a Kim, gli enormi vantaggi che deriverebbero dall'assenso della May alla «proposta indecente» del presidente americano, che diverrebbe operativa solo quando Londra e Bruxelles avranno finalmente consumato il loro divorzio.
Trump è stato ancora più esplicito durante il suo colloquio alla Casa Bianca con il premier irlandese Leo Varadkar. Il leader a stelle e strisce si aspetta che un secondo referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Ue non sia tenuto («Sarebbe molto ingiusto verso coloro che hanno vinto», ha detto al suo ospite) e che si arrivi piuttosto a una soluzione che avvii nei fatti lo strappo sancito dal voto popolare del 23 giugno 2016. Non sono mancate critiche personali al capo del governo britannico: Theresa May, ha detto Trump che di gran lunga preferirebbe avere a che fare con Nigel Farage, è nei guai perché «non mi ha dato ascolto su come negoziare» con Bruxelles. Dopodiché, il presidente Usa è passato ad attaccare direttamente l'Unione Europea una delle sue attività preferite: dimenticando la tregua commerciale che nello scorso luglio aveva concordato con Jean-Claude Juncker, Trump ha sparato secco che «se l'Ue non parlerà con gli Stati Uniti, noi imporremo dazi sui loro prodotti». Un più che probabile riferimento all'industria dell'auto europea, che ha oltre Atlantico un mercato fiorente.
Entrando a gamba tesa nella partita negoziale tra Londra e l'Europa, insomma, Trump conferma purtroppo le sue peggiori attitudini.
Il suo obiettivo prioritario restando il consenso interno, cerca di perseguirlo dimostrando ai suoi potenziali elettori (l'anno prossimo intende riconquistare la Casa Bianca) che lui non guarda in faccia a nessuno pur di «salvare il lavoro americano». Quel nessuno purtroppo siamo noi, i suoi alleati europei.
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