«Ostruzionismo insensato». È questa l'unica strategia che l'opposizione sta adottando in risposta al premierato proposto dal governo Meloni. «Le risposte che abbiamo ottenuto sono imbarazzanti, si è cercato ogni motivo per dire di no», ha rivelato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, intervenendo al convegno «Obiettivo premierato», organizzato dal centro studi di Fratelli d'Italia.
Poco importa che, in Italia, si parli di rafforzamento dei poteri del premier a partire dagli anni Settanta anche all'interno del mondo della sinistra. Dalla commissione Bozzi del 1983 alla De Mita-Iotti del 1993 che voleva introdurre la sfiducia costruttiva si arriva alla bicamerale di D'Alema che spingeva per il semipresidenzialismo. L'opposizione odierna, invece, accomuna il premierato a una nuova forma di autoritarismo e nega qualsiasi possibilità di dialogo. «Il Pd si è presentato con il responsabile Riforme Alfieri che ha detto siamo contrari all'elezione diretta e siamo qui solo per impedirvi di fare la riforma, se togliete l'elezione diretta ragioniamo», ha detto il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato Alberto Balboni, rimasto «a bocca aperta». Le opposizioni, nel loro complesso, infatti, hanno presentato 2.600 emendamenti sul premierato a fronte dei 3-400 presentati sull'autonomia differenziata. In particolare, i senatori Giuseppe De Cristofaro, presidente del gruppo misto, Aurora Floridia di Europa Verde, Ilaria Cucchi e Tino Magni di Sinistra Italiana si sono ingegnati nel proporre emendamenti sulla durata del mandato del presidente del Consiglio che sono alquanto esilaranti. «Al comma 1, capoverso Art. 92, comma 2, sostituire le parole cinque anni con le seguenti ventuno ore», si legge dai testi pubblici della prima Commissione del Senato. Di emendamenti identici a questo se ne trovano una decina che differiscono tra loro solo perché anziché «ventuno ore» i senatori dell'opposizione hanno proposto: «Ventidue ore», «un giorno» oppure «tre giorni», «un mese» ecc...
Emendamenti irricevibili dato che la durata naturale del mandato di un premier in carica non può essere inferiore alla durata naturale della legislatura, ossia 5 anni. I senatori del Pd, invece, si sono impegnati nel cercare di modificare la percentuale dei partecipanti al voto. «Al comma 1, capoverso 92, secondo comma, al primo periodo aggiungere, infine, le seguenti parole: A condizione che abbia ottenuto il 58% dei voti espressi e abbia partecipato al voto il 94% degli aventi diritto», ha proposto il senatore dem Marco Meloni. I suoi colleghi Antonio Nicita, Andrea Giorgis, Valeria Valente, Dario Parrini e Susanna Camusso hanno presentato degli emendamenti identici che differiscono solo perché ognuno di questi abbassa il quorum previsto di un solo punto percentuale rispetto al precedente. Un ostruzionismo che non tiene conto della necessità, anche economica, di avere governi stabili.
A tal proposito il presidente Balboni ha citato uno studio secondo cui in dieci anni «l'instabilità politica è costata all'Italia 265miliardi di euro, nonché 300mila posti di lavoro all'anno, dunque 3 milioni in 10 anni».
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