L'orgoglio dell'insalatiera mista

Nessuno è d'accordo con l'altro: né nelle soluzioni (vedi l'implosione del Partito Democratico al Parlamento europeo), né negli obiettivi finali, se non nei più generalisti e fumosi buonismi

L'orgoglio dell'insalatiera mista
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La piazza è sempre bella, è sempre buona ed è sempre giusta. Specialmente quando è di sinistra, ovviamente. Ma è anche sempre e comunque tremendamente la stessa. Prendiamo l'esempio di ieri: piazza del Popolo gremita di persone che hanno risposto all'appello europeista di Michele Serra (complimenti a lui, innanzitutto) e in un tiepido sabato marzolino hanno deciso di scendere in strada per dire la loro. Ecco, appunto: ma qual è la loro? Perché il problema sembra innanzitutto essere questo: Europa unita ma ovviamente a modo loro e secondo i loro gusti - perché l'Europa di destra alla sinistra sembra sempre un po' meno Europa -, pace sì ma armati fino ai denti (meglio tardi che mai, prima erano solo bandierine arcobaleno), un po' di strisciante spirito antiamericano ringiovanito e rinvigorito dagli eccessi trumpiani (che poi, lui, è la vera anima di questa festa), un po' di Inno alla gioia e un pizzico di Bella Ciao, artisti, intellettuali o sedicenti tali, cantanti e musicisti in stato di allerta permanente e pronti a fare da comparse a qualsivoglia chiamata radical.

Un copione recitato mille volte e altrettante volte visto: soliti cipigli e medesimi tic.

E, per carità, siamo tutti per una soluzione pacifica di questo momento grave e carico di tensioni e vogliamo tutti che il nostro vecchio e stropicciato Continente abbia una sua autonomia anche militare e torni a contare qualcosa sullo scenario internazionale, possibilmente stando dalla parte giusta, cioè quella dell'Occidente tutto.

Però in questa piazza così fiera di essere piazza, in questo profluvio di selfie compiaciuti con lo sfondo di stellette dell'Unione, sono tutti sorrentinianamente disuniti. Nessuno è d'accordo con l'altro: né nelle soluzioni (vedi l'implosione del Partito Democratico al Parlamento europeo), né negli obiettivi finali, se non nei più generalisti e fumosi buonismi. La manifestazione, per il mondo progressista, non è un mezzo ma un fine, una sorta di piscina di Cocoon dalla quale riemergere ringiovaniti come ai tempi delle assemblee d'istituto.

E allora la sinistra va in piazza per il gusto di andare in piazza, per dimostrare a se stessa e agli altri di esistere, per vellicare il proprio ego davanti allo specchio della manifestazione, per una sorta di progressismo emotivo che si invera solo sotto una bandiera o dietro uno striscione. Così alla fine tutto diviene intercambiabile: l'altro ieri la bandiera della pace, ieri l'arcobaleno dei diritti lgbtq e oggi il vessillo dell'Unione Europea.

Come se tutti i temi avessero lo stesso valore e lo stesso portato, come se una protesta valesse l'altra.

Esserci per esserci, a prescindere da tutto, con il rischio tangibile che, ancora una volta, tutto, anche la sopravvivenza del nostro Continente - il più serio dei temi - si riduca miseramente al solito slogan di parte.

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