T ra pochi giorni gli esiti dei ballottaggi ci diranno chi sono vincitori e vinti. Ma già i risultati del primo turno ci forniscono indicazioni molto significative sugli sviluppi e la conformazione dell'attuale assetto politico. Al di là delle percentuali di voto nelle singole città, emergono infatti alcuni trend che connotano i risultati. In particolare se ne colgono cinque.
1 In primo luogo affiora il riproporsi delle motivazioni più direttamente connesse alla situazione economica nella scelta di voto. La netta differenza dei risultati tre le zone centrali e quelle periferiche di diverse città (con, spesso, un declino del Pd in queste ultime) suggerisce come, tramontata ormai da tempo la scelta basata sulle ideologie, acquista sempre maggiore importanza nella decisione di voto la considerazione del proprio stato economico e sociale e, per le grandi città, la valutazione della situazione urbana e del degrado.
2 Vi è poi il fenomeno delle astensioni che riemerge puntualmente. In realtà, non è tanto il trend in sé a preoccupare, quanto il fatto che si accresca di anno in anno la tipologia specifica delle astensioni «per scelta», dopo una valutazione consapevole dell'offerta politica. In altre parole, un numero crescente di cittadini è portato a ritenere che i partiti presenti sul territorio non siano in grado affrontarne i problemi. Pur non avendo raggiunto i livelli previsti la diserzione dalle urne è stata notevole: ha votato il 62% a fronte del 67% delle elezioni precedenti, con un calo di ben 5 punti. In parte, certo, dovuto all'assenza del voto al lunedì e al lungo ponte, ma anche legato alla disaffezione dalla politica. Il fatto che a Milano in cui il comportamento elettorale spesso anticipa trend nazionali si sia recato al voto meno del 55% dell'elettorato (uno dei tassi di partecipazione in assoluto più contenuti, con un calo di quasi il 13% rispetto alle precedenti amministrative, la diminuzione maggiore registrata) mostra come la disaffezione costituisca un fenomeno che sarebbe errato sottovalutare. È indicativa l'analisi di Roberto D'Alimonte che rileva come «la scelta più frequente di chi ha cambiato il comportamento elettorale è stata il non voto».
3 Sul piano del consenso per i singoli partiti, uno dei dati di maggior rilievo è rappresentato dal declino del seguito del Pd, che fa seguito al trend negativo della popolarità di Renzi. In tutte le grandi città il Pd perde consensi, sia in percentuale sia in valore assoluto rispetto a tutte le elezioni precedenti. Pur tenendo conto della presenza in queste comunali di numerose liste civiche comunque orientate verso il centrosinistra che hanno in parte drenato il voto dal partito maggiore, il calo rimane significativo. Ma ciò che colpisce sono le sue caratteristiche, sia in termini di flussi verso altri partiti, sia in termini di connotazione sociale dei voti persi. Riguardo ai primi c'è da sottolineare il travaso di voti verso il M5S. Lo indica anche un sondaggio effettuato dopo il voto dall'istituto Eumetra Monterosa (intervistando un campione di italiani residenti nell'insieme dei centri in cui si sono tenute le elezioni) che, a differenza delle analisi già apparse, non riguarda singolarmente l'una o l'altra città, ma considera il complesso degli elettori coinvolti nelle amministrative. Colpisce il fatto che una parte consistente dei voti che il Pd aveva ottenuto alle ultime europee si sia diretta verso il M5S. Si tratta in buona misura di voti provenienti dalle classi sociali meno elevate. Al riguardo abbiamo già sottolineato l'erosione nell'elettorato popolare, tradizionale area di riferimento del maggior partito del centrosinistra e residente in larga parte nelle periferie delle città, proprio dove il Pd ha perso più voti. Anche un'analisi di Ipsos, pubblicata sul Corriere della Sera, mostra che il voto operaio si è diretto sempre più verso il M5S e il centrodestra (attratto qui specialmente dai temi legati alla sicurezza e all'immigrazione). Ancora, Federico Fubini ha realizzato un originale studio sulla relazione tra voto e prezzo delle case, mostrando che dove quest'ultimo è inferiore (vale a dire nelle periferie) si accresce il vantaggio del M5S sul Pd.
4 Questi flussi suggeriscono l'esistenza di un processo di parziale trasformazione del ruolo sociale e politico del M5S. Da mero collettore della protesta indifferenziata alla, almeno in parte, rappresentanza dei ceti più svantaggiati. Come si sa, al di là dei successi ottenuti a Roma e a Torino, il M5S non appare in genere cresciuto in termini di consensi, subendo, come ha mostrato l'istituto Cattaneo, anche una erosione verso l'astensione. A Milano, ad esempio, è calato di 67mila voti rispetto al 2013. A Napoli di 73mila. E a Bologna di 14mila. Ma, come si è detto, sembra emergere un mutamento del tipo di elettorato che afferisce al movimento di Grillo e, specialmente, delle motivazioni che spingono al votarlo. Spesso esso è stato scelto non tanto e non solo per la sola contestazione dell'offerta politica esistente, quanto anche come segnale di reazione alla propria condizione disagiata, sia dal punto di vista lavorativo e sociale che da quello abitativo. Specie (come hanno notato Antonio Noto e Nicola Piepoli) tra i votanti più giovani, ove il M5S ha rappresentato un'alternativa all'astensione.
5 C'è da registrare infine, soprattutto a Milano ma non solo in questa città l'emergere, ancora incerto e contraddittorio, delle forze più moderate, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. Le forze più estreme di entrambi gli schieramenti hanno ottenuto risultati assai più modesti delle aspettative iniziali di alcuni. Premiando una visione più ragionevole e «moderata» dello scontro politico. Mostrando che, come ha scritto Venanzio Postiglione «più l'offerta politica è alta (coalizione unita, candidato forte) più la protesta tenderà ad affievolirsi».
Saranno confermate in futuro queste cinque tendenze emerse domenica? È ovviamente difficile avere certezze al riguardo. Ma se proseguissero anche nei prossimi mesi, i trend che abbiamo descritto potrebbero mutare significativamente il quadro politico.
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