Da Lucifero ai social. Ecco perché la superbia non ci abbandona mai

Il saggio di Laura Bazzicalupo analizza la smodata passione dell'essere e la tracotanza

La "Superbia" secondo Hieronymus Bosch
La "Superbia" secondo Hieronymus Bosch

Tra i «peccati», e non solo in una ottica di cultura cristiana, la superbia è forse il più pericoloso, e anche il più moderno.

È per questo che la serie dedicata da il Giornale ai sette vizi capitali si apre con Superbia di Laura Bazzicalupo (professoressa di Filosofia politica dell'università di Salerno). Il volume sarà in edicola da domani a 9,90 euro (più il prezzo del nostro quotidiano) e verrà seguito nelle prossime settimane da tutti gli altri vizi: Avarizia (ne parlerà l'economista Stefano Zamagni), Lussuria (il filosofo Giulio Giorello), Invidia (la filosofa sociale Elena Pulcini), Gola (la politologa Francesca Rigotti), Ira (il filosofo Remo Bodei), Accidia (lo psicologo Sergio Benvenuto).

Ma come dicevamo all'inizio la partenza non poteva che essere con la superbia. La superbia è all'origine del male in quasi ogni mitologia. Lo spiega bene Bazzicalupo. Il «prologo in cielo» di tutta la vicenda umana, nella tradizione giudaico cristiana, è la ribellione di un angelo superbo della sua bellezza: Lucifero. Il più simile a Dio non si accontenta. E quindi, quasi condannandosi da solo, precipita nel più profondo abisso. Un tema su cui hanno riflettuto tutti i grandi pensatori cristiani, da Sant'Agostino e San Tommaso sino ai giorni nostri. Ma il tema era anche alla radice della cultura greca. Per un greco l'hybris (una superbia tracotante) era il peggiore dei mali. Cadono per superbia Aracne, Marsia, i quattordici figli di Niobe (per colpa della medesima)... Ma soprattutto Narciso, innamorato della sua stessa immagine. Ed è proprio creando un bel ponte tra l'antico e il moderno che Bazzicalupo chiude il cerchio sulle superbie contemporanee, tra cui il narcisismo la fa da padrone.

A partire dalla realtà per amplificarsi enormemente nei social.

Dando vita ad una superbia che diventa quasi «autistica»: «A partire da un imperativo sociale che fa perno su noi stessi, la sfida che ha sempre denotato la superbia diventa assai difficile, tutta interna e meno eroica».

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