nostro inviato a Bruxelles
Un passo alla volta, in attesa che l'inauguration day in programma a Washington il 20 gennaio dia formalmente il via al secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca. Solo allora si capiranno dettagli e sfumature di un orientamento che è sì chiaro ma non ancora davvero definito. E che aleggia sul primo Consiglio europeo del nuovo corso, sotto la presidenza dello spagnolo Antonio Costa e con Ursula von der Leyen in sella alla nuova Commissione Ue. Che Trump spinga per una rapida soluzione del conflitto tra Russia e Ucraina, infatti, non è un segreto. Il presidente eletto lo ha detto sia ad Emmanuel Macron che a Giorgia Meloni a margine dell'inaugurazione della cattedrale di Notre Dame. Ed emerge chiaro anche dalle parole di Keith Kellog, inviato speciale di Trump per la crisi tra Mosca e Kiev, che due giorni fa è arrivato a dire che «entrambe le parti sono pronte» a sedersi al tavolo dei negoziati. Certamente un'accelerazione rispetto a un confronto che è ancora in corso, tra aperture e dietrofront. Ma la novità è che - seppur per interposta persona - Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin hanno iniziato a parlarsi.
A Bruxelles, però, è tangibile la distanza tra chi pensa si debba seguire il nuovo corso di Trump e chi - a partire dai baltici, ma per certi versi anche Polonia e Regno Unito - teme che il sostegno all'Ucraina possa farsi più flebile. Ed è anche per questo che mercoledì sera il segretario generale della Nato Mark Rutte ha incontrato i leader dei principali Paesi dell'Ue, per cercare di fare una sintesi di quella che è la linea europea. Rutte, peraltro, dovrebbe tornare a Mar-a-Lago da Trump a breve, proprio per fare il punto della situazione. Mentre prima del 20 gennaio sarà Kellog a fare un giro per le principali capitali europee, Roma compresa.
La posizione italiana è in linea con quella della nuova amministrazione americana, nella convinzione che Trump voglia sì facilitare la pace, ma restando al fianco di Kiev. Insomma, al di là della dialettica, secondo Meloni - ieri, influenzata e febbricitante, ha lasciato il Consiglio europeo a metà giornata - l'approccio di Washington resta sostanzialmente invariato. Come peraltro aveva detto a favore di telecamere Giovanbattista Fazzolari proprio all'indomani delle presidenziali dello scorso 5 novembre. «Credo che il sostegno a Kiev resterà quello di oggi», erano state le parole del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Che proprio ieri ha criticato quella «parte della stampa italiana» che ha letto l'intervista di Zelensky a Le Parisien come una sorta di «resa». È una «incredibile distorsione della realtà, un enorme regalo di Natale alla disinformazione russa», dice Fazzolari. Insomma, la linea di Palazzo Chigi è che nessuno abbandonerà l'Ucraina. Tanto che lunedì il governo varerà il decreto per garantire le forniture militari a Kiev per tutto il 2025. L'auspicio, però, è che nel corso del prossimo anno Russia e Ucraina possano finalmente sedersi a un tavolo, nella convinzione che anche Mosca sta vivendo un momento di profonda debolezza dopo il duro colpo subito in Siria.
È in questo clima di attesa del passaggio di consegne a Washington che ieri si è chiuso il Consiglio Ue, perché se gli Stati Uniti dovessero davvero tagliare di colpo il loro supporto, il blocco europeo difficilmente ce la potrebbe fare da solo a farsi carico del costo della guerra di logoramento. Non è un caso che ieri sia stato lo stesso Zelensky a invocare «l'unità tra Stati Uniti ed Europa», perché «è molto difficile sostenere l'Ucraina senza l'aiuto americano».
E in serata il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha avuto un colloquio telefonico con Trump a cui ha sostanzialmente trasmesso lo stesso messaggio. D'accordo anche Meloni, che ribadisce il «sostegno dell'Italia all'Ucraina per una pace giusta». Che, è l'auspico che lascia trasparire von der Leyen, potrebbe arrivare presto. «Il 2025 - dice - sarà un anno cruciale».
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