Si fa presto a dire napoletana. La pizza in Italia e nell'Unione europea dovrà mostrare il passaporto per esibire l'aggettivo più agognato, quello che rimanda alla città partenopea, a cui è legata per origini e tradizioni.
Secondo quanto pubblicato dalla Gazzetta ufficiale del regolamento di esecuzione Ue 2022/2313 dal prossimo 18 dicembre solo le pizzerie e i ristoranti che rispettano determinate caratteristiche potranno vantarsi sull'insegna e sulle confezioni di propinare ai propri clienti la «pizza napoletana». In questo modo Bruxelles ha risposto presente alla richiesta dell'Italia di garantire la protezione con riserva della denominazione della Stg (specialità tradizionale garantita), un marchio di origine che tutela alimenti specifici caratterizzati da composizioni o metodi di produzione tradizionali . La pizza napoletana rientra in questo novero come altri tre piatti italiani: l'amatriciana tradizionale, la mozzarella e i vincisgrassi marchigiani.
Una vittoria (parziale) del made in Italy», anzi del made in Neaples». L'Unione europea stabilisce infatti semplicemente che non si possa accostare l'aggettivo «napoletana» alla parola pizza se essa non è realizzata secondo i dettami del disciplinare: che prevede una diametro non superiore a 35 centimetri, un con il bordo rialzato (cornicione) alto tra uno e due centimetri, e con la parte centrale coperta dai condimenti e spessa attorno ai 25 millimetri. Quanto agli ingredienti sono ammessi farine di grano tenero di tipo 00 o 0, acqua alimentare, sale marino, lievito di birra, pomodoro fresco (preferibilmente San Marzano dell'Agro Sarnese-nocerino D.O.P., pomodorini di Corbara o pomodorino del piennolo del Vesuvio) o pelato, mozzarella di bufala campana dop o mozzarella Stg, fior di latte dell'appennino meridionale o altro fiordilatte prodotto con tecniche tradizionali, olio extravergine d'oliva, basilico. La pizza napoletana è soltanto quella che viene cotta in forni a legna (con deroghe per i forni elettrici a gas solo in casi eccezionali) a una temperatura di 485 gradi e direttamente sul piano del forno, quindi senza uso di teglie.
Regole severe, che dovranno essere fatte rispettare dagli uomini dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi. Chi sgarra in teoria dovrà cambiare la propria insegna, rinunciando l'evocazione di una figura come quella del pizzaiuolo napoletano, che proprio tra pochi giorni festeggerà i cinque anni dal riconoscimento come patrimonio immateriale dell'Unesco (avvenuta il 6 dicembre 2017). Esulta Coldiretti, che ritiene questo un passaggio fondamentale per la tutela di un sistema economico, quello della margherita, che dà lavoro a 100mila addetti (che nel fine settimana raddoppiano) che preparano ogni giorno mediamente 8 milioni di pizze e che vale 15 miliardi di euro all'anno. Un asset strategico anche per l'indotto: per fare le pizze vengono impiegate ogni 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio evo e 250 milioni di chili di salsa di pomodoro.
La pizza non è mai stata così popolare, tra slanci gourmet e richiami alla tradizione, e ha gli occhi del mondo addosso. E l'Italia lavora incessantemente per conservare il suo magistero incontestabile. L'Antica pizzeria da Michele, una delle più note del capoluogo partenopeo, deciso di utilizzare la tecnologia blockchain per garantire la verifica dell'origine e dell'autenticità delle materie prime utilizzate.
Le informazioni sono disponibili già da martedì scorso nelle sedi di Napoli e Salerno (ma presto lo stesso si potrà fare in tutte e 34 le pizzere sparse in tutta Italia e in tutto il mondo) inquadrando con il proprio telefonino un QR. «Un metodo sicuro, incorruttibile e inviolabile per certificare il nostro lavoro e gli ingredienti che utilizziamo», spiega Alessandro Condurro, amministratore della società.
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