L'ultima frontiera della privacy "Il pensiero sarà sotto attacco"

Strumenti tecnologici sempre più sofisticati potranno leggere il nostro cervello. E cambiare quello che siamo

L'ultima frontiera della privacy "Il pensiero sarà sotto attacco"

Questa volta il Garante ha deciso di occuparsi di dati che più personali non si può, quelli che risiedono, più o meno numerosi e significativi, nella nostra mente. Insomma, i «dati» sono i nostri cervelli e i loro «contenuti», memorie, sentimenti, pensieri, da tutelare quanto le cifre della carta di credito o il documento d'identità, perché essi non sono documenti, sono l'identità stessa. Così abbiamo sempre creduto, almeno da 2.500 anni, anzi già da quando, nelle grotte di Altamira e Lascaux, i nostri antenati hanno iniziato a esprimere la loro anima disegnandola a colori, su delle pareti. Che qualcuno potesse entrare nei loro pensieri, e leggerli, e magari orientarli, era qualcosa di lontanissimo, inimmaginabile, eppure così vicino sulla scala del tempo terrestre: perché è stato in un attimo che siamo arrivati qui, al 2021, a un convegno su «Privacy e neurodiritti: la persona al tempo delle neuroscienze», nel quale il Garante, Pasquale Stanzione, ha - come si usa dire - «lanciato l'allarme», poiché se «oggi strumenti diagnostici avanzati, quali la risonanza magnetica funzionale, possono decodificare diversi tipi di segnali cerebrali», allora c'è il rischio che «in un domani non lontano potranno accedere ai contenuti leggendo i pensieri e influenzare così, addirittura, gli stati mentali e il comportamento».

Ecco perché serve «uno statuto giuridico ed etico» per tutelare i «neurodiritti», ecco perché, dopo l'habeas corpus e l'habeas data, al cuore dei nuovissimi «neurodiritti» c'è l'habeas mentem. Che, detto così, parrebbe quasi un'esortazione, o un auspicio: magari ci fosse una mente da difendere, caro Garante. A volte è già sparita, prima ancora di essere attraversata dalla risonanza magnetica. Pensi a quello che succede sui social, a quanto «gli stati mentali e il comportamento» vengano influenzati in un rigurgito di tastiera, e continuino poi, a loro volta, ad autoalimentare perversamente questa influenza nefasta.

Comunque, è quasi poetico che Pasquale Stanzione si preoccupi di proteggere la nostra intimità più profonda e inviolabile (in teoria); questo suo interesse è di straordinaria attualità, visto che il dibattito sull'Intelligenza artificiale e l'influenza del mondo digitale e virtuale gira intorno alla questione da qualche anno, e la questione è, appunto, il nostro cervello, nel quale, per esempio, si potrebbero installare «chip che (...) permetteranno di salvare i ricordi e scaricarli su un altro corpo o robot, amplificandoli o cancellandoli selettivamente». Garante, sono parole sue citate dalle agenzie, ma non le ricorda (senza ricorrere a chip) quello che ci ha raccontato Orwell più di settanta anni fa? Siamo sicuri che questa terrificante prospettiva si stia facendo reale proprio ora, e non sia già strisciante da qualche decennio? Certo, adesso ci sono le tecnologie a renderla possibile. Ma forse il problema non sono le tecnologie, bensì le convinzioni che abbiamo su di esse. E, forse, sono proprio queste nostre convinzioni, ormai date per verità, a rendere la tecnologia stessa così «pericolosa».

Jaron Lanier, ex hippie, genio della Silicon Valley, spiega benissimo come gli strumenti con cui abbiamo continuamente a che fare, dal computer allo smartphone, siano costruiti apposta per «insegnarti che sei uguale alla macchina»: «C'è questo algoritmo che ti suggerisce di fare qualcosa, tu la fai e, siccome esso è progettato affinché poi le cose sembrino andare meglio, tu pensi che l'algoritmo avesse proprio ragione. Il risultato è che rinunci tu stesso al controllo». Servono davvero strumenti diagnostici o chip futuristici o operazioni da transumanisti? O basta che noi stessi ci convinciamo di essere una macchina, per consentire a qualche inventore/magnate/scienziato di affermare di poter costruire macchine uguali al nostro cervello?

Che poi, come dice il Garante, il cervello sia il «limite invalicabile persino per il più coercitivo e totalitario dei poteri», è molto discutibile: i poteri in generale, e quelli totalitari in particolare, mirano da sempre proprio al nostro cervello; e meno ce n'è, meglio è,

per loro. Più è vuoto, meno c'è da intervenire. Pensieri, ricordi e sentimenti sono da sempre pericolosissimi, molto più dei chip. Ma, se crediamo di poter essere ridotti a una macchina, li abbiamo già cancellati da soli.

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