«Le imprese potranno chiedere all'Inps il riconoscimento della Cigo quando il termometro supera i 35 gradi. Ai fini dell'integrazione salariale, però, possono essere considerate idonee anche le temperature percepite». È quanto riporta una nota congiunta Inps e Inail. L'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in una sua pubblicazione aveva chiarito le linee guida per prevenire le patologie da stress termico, così da ridurre il rischio di infortuni sul lavoro legati alle temperature eccessive.
A nessuno piace lavorare sotto temperature torride e certo a nessuno vorremmo chiederlo. Piace pensare che nelle nostre imprese, salvo eccezioni, ci sia un diffuso rispetto verso i lavoratori e che questo si traduca in accorgimenti efficaci a temperare il sacrificio di operare sotto il caldo forte. Parliamo di turni brevi con pause frequenti, rotazione tra gli addetti nelle postazioni maggiormente esposte, disponibilità di protezioni e di acqua. Ci aspettiamo anche dei distinguo in base all'età e alle condizioni fisiche, per evitare o minimizzare l'esposizione di coloro meno forti. Tuttavia, negli ultimi giorni ci sono stati due decessi sul lavoro e ricordare che la salute delle persone va tutelata, anche dal caldo, non guasta.
L'auspicio è che tali disposizioni non vengano abusate e distorte oltre l'intenzione che li ha ispirati, magari lasciando pure scoperti alcuni casi gravi, ma sdoganandone troppi che gravi non sono. L'esperienza insegna che provvedimenti assolutamente ragionevoli, pur ispirati al buon senso e al civile rispetto di casi e situazioni abnormi, non tardano a essere strumentalizzati e abusati.
Guardiamo all'utilizzo pratico. Se ci si trova su un cantiere esposto al solleone nelle ore più calde, forse è il caso di suonare la campanella e fermare tutto, almeno fino a dopo le 17. Se il lavoro deve assolutamente andare avanti, si può pensare a una sospensione coperta con la cassa integrazione, per poi prolungare l'orario nel tardo pomeriggio. Di questo però non c'è traccia nelle disposizioni, che si limitano alla possibilità di fermare le lavorazioni, anche temporaneamente nel corso della giornata, potendo ricorrere al sostegno della Cigo. Secondo l'Inps l'azienda deve chiederlo con una relazione tecnica, indicando le giornate di sospensione o riduzione delle attività, specificando il tipo di lavorazione in oggetto. Dal comunicato sembra si potrà presentare a posteriori, che pare ragionevole.
Un appunto si può muovere sulla temperatura, 35 gradi, individuata come unico indicatore, senza accenno all'umidità. Tra 35 gradi in una giornata secca e 29 gradi con umidità del 95% sappiamo tutti cosa preferire. E sappiamo anche che gli effetti sul corpo umano sono ben diversi, in relazione alla disidratazione e alla circolazione.
Ma queste diventano disquisizioni evanescenti, visto che la temperatura c'entra fino a un certo punto. Innanzitutto, l'impresa non deve produrre indicazioni sui gradi, perché sarà direttamente l'Inps, nella sua efficienza, ad acquisire direttamente i bollettini meteo. Non che siano vincolanti, e ci mancherebbe pure.
Indipendentemente dalle temperature rilevate nei bollettini, l'Inps riconosce la cassa integrazione ordinaria anche in base alla temperatura «percepita» nel solco del relativismo imperante e politically correct, per cui «il corpo è mio e la temperatura la decido io». Un sistema italianissimo e forse ispirato al famoso spot: «Anto', fa caldo».
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