Le lacrime. Gli abbracci. Gli applausi. Quello più lungo alla fine, quando il feretro lascia il Palaluxottica. Ci sono l'alta finanza, pezzi del gotha industriale e il popolo operaio. Sì, il funerale di Leonardo Del Vecchio, colorato da un mare di magliette blu, è anche una festa di popolo. Cinquemila persone arrivate fin lassù.
Qualcosa di simile era accaduto solo pochi mesi fa, non lontano da qui, sempre in Veneto, a Tombolo, con le esequie commosse e partecipate di un altro grande del capitalismo italiano, Ennio Doris.
Per un pomeriggio Agordo è la capitale del Paese e le cime incantate delle Dolomiti fanno da sfondo alla celebrazione di una saga irripetibile. A partire dagli anni Sessanta una valle periferica e povera diventa un avamposto del genio tricolore.
E ancora di più: perché gli occhiali di Agordo valicano i confini del distretto e conquistano il mondo.
Difficile riassumere un'epopea. La dimensione privata e quella globale. «Ricordo le ultime parole che mi ha detto papà - spiega il figlio Claudio Del Vecchio - durante la mia ultima visita in ospedale. Gli ho detto che sarei andato ad Agordo per vedere la fabbrica e allora il suo viso si è illuminato e con un sorriso bellissimo mi ha detto: La fabbrica è così bella adesso».
Il congedo di un patriarca. Semplice nella sua visionarietà. Ma era un patriarca che ancora poche settimane fa, a 87 anni, combatteva per scompaginare e ridisegnare gli assetti del salotto buono ed era entrato con piglio e senza alcun timore reverenziale nei santuari di Mediobanca e Generali. Ad Agordo ci sono anche alcuni generali di questa guerra ancora in pieno svolgimento: ecco Francesco Gaetano Caltagirone, compagno di cordata, e poi l'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel. Insomma, un pezzo del potere, per definizione riservato se non invisibile, mischiato alle maestranze che hanno seguito il metronomo per sessant'anni.
Perché Del Vecchio teneva insieme miracolosamente anche nella sua biografia, da Martinitt senza padre a secondo uomo più ricco d'Italia con un patrimonio di circa 25 miliardi di dollari, tutto questo. E il presidente di Generali Andrea Sironi scolpisce con poche parole un ritratto indelebile del fondatore di Luxottica: «Era un azionista importante del nostro gruppo, forse il più grande imprenditore italiano di tutti i tempi». Ad Agordo ci sono capitoli interi della storia e delle relazioni industriali del Belpaese: ecco lo stilista Domenico Dolce, l'avvocato Sergio Erede e poi Luciano Benetton con il figlio Alessandro, due generazioni di una delle dinastie del Nordest. «Anche quando la corrente sembrava andare in un'altra direzione - nota Alessandro - lui sapeva proseguire dritto».
Certo, il giorno dell'addio rischia sempre di prendere le tonalità dell'agiografia, ma gli episodi che vengono raccontati, nel corso della cerimonia o davanti alle telecamere, sono tutti veri. C'è un dipendente che rievoca la sorpresa provata negli anni Novanta quando vide quel personaggio, ormai famoso, in ginocchio nel suo ufficio per spostare alcuni macchinari. Senza preoccuparsi di sporcare il vestito della festa che aveva indossato quella mattina. Il ministro per i rapporti con il parlamento Federico d'Incà illumina un altro paragrafo: «Ha salvato Ceramica Dolomite, capendo l'importanza di quelle persone che lavorano».
Le stesse che hanno ricevuto le azioni del gruppo e un welfare all'avanguardia. A tutte si rivolge la vedova Nicoletta Zampillo: «Leonardo, il vostro presidente, il vostro amico, il vostro padre, vorrebbe che io dicessi che sarà sempre qui con voi». Una storia finisce, l'avventura continua.
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