Tenta di rassicurare, ma spaventa sempre più Jean-Luc Mélenchon, l'indomito leader de «La France Insoumise», che sogna la guida del governo e anche la presidenza di Francia, ma resta il nome più controverso e imbarazzante anche per la gauche, alle prese con le trattative del post-elezioni. A Parigi il Nuovo fronte popolare non è ancora riuscito a esprimere un candidato premier, le frange moderate sfuggono e temono Mélenchon come la peste, Emmanuel Macron chiede di formare una maggioranza «solida e plurale» e intanto il mai sottomesso Jean-Luc va a Bruxelles e approfitta di un incontro con il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo per una passerella che conferma i timori di molti sul suo populismo gauchista. Mélenchon rivendica per Nfp, primo gruppo all'Assemblée Nationale, la designazione del prossimo membro francese della Commissione europea, proprio mentre Emmanuel Macron lavora per la riconferma di Thierry Breton a commissario per il mercato interno. Il tribuno Jean-Luc cerca di rassicurare, spiega di non voler entrare in scontro frontale con l'Unione europea ma alla fine, come nel suo stile, tuona contro il capitale «da prendere alla gola», contro «le politiche neoliberali» e contro la stessa Commissione Ue da cui quelle politiche «sono molto stimate». Se la prende con «i più ricchi», il suo tormentone, «che lo Stato ingozza di denaro». Parla da premier, facendo i conti senza l'oste Macron e i propri alleati ostili, e prende l'impegno di non aumentare la spesa pubblica, dopo che la Commissione europea ha messo la Francia sotto procedura per deficit eccessivo. La sua soluzione è più interventismo di Stato e più prelievi ai francesi agiati: «Bisogna aumentare il gettito e la questione non è quanto costa, ma chi paga». «Ho quasi voglia di ringraziare la Commissione - aggiunge - sennò avrebbero detto che il nostro governo aggredisce in modo gratuito il capitale e i mercati benefattori. Invece lo prendiamo alla gola perché ci è stato imposto» dall'Ue. Mélenchon ha fretta di chiudere la partita a Parigi e torna alle questioni francesi: «L'uomo che ha dissolto il Parlamento non chiama nessuno per costituire un governo», dice di Macron, che accusa di «rifiutare di riconoscere il risultato elettorale», di un «ritorno del veto reale sul suffragio universale». Infine avverte: «Deve inchinarsi al Nfp».
È la stallo che denuncia anche Marine Le Pen, rieletta capogruppo del suo Rassemblement National a Palais Bourbon, sede dell'Assemblea. La leader dell'ultradestra è tornata ad additare «le manovre, che ci hanno privato della maggioranza assoluta», proprio mentre Libération racconta in un'inchiesta delle cene «segrete» tra macronisti e membri di Rn mesi prima delle legislative, segno di un'interlocuzione fra i due campi. Le Pen è certa che si tratti il successo di Rn sia solo rinviato. E attacca anche lei Macron per «il suo circo indegno» dopo la lettera in cui il presidente invita le forze repubblicane a costruire una maggioranza solida: «Ci troviamo in un pantano perché nessuno è in grado di sapere da quale area verrà il primo ministro e quale politica sarà perseguita».
Anche Jordan Bardella se la prende con il capo dello Stato: «Organizza la paralisi del Paese posizionando l'estrema sinistra alle porte del potere, dopo accordi vergognosi»: «irresponsabile». Il presidente di Rn ribadisce che il partito farà «un esame di coscienza» e ai suoi 126 deputati, dopo le uscite estreme che hanno logorato il partito, ora raccomanda: «Siate assolutamente irreprensibili».
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