La macchina della propaganda del Cremlino. Così gli "influencer" screditano gli oppositori

Usano sui social network le tattiche di "pesca" del social media marketing

La macchina della propaganda del Cremlino. Così gli "influencer" screditano gli oppositori

Tattiche sofisticate per bypassare i controlli, unite a strategie d'attacco degne delle più efficienti operazioni di social media marketing. La macchina della propaganda del Cremlino, dopo l'invasione russa dell'Ucraina, ha alzato il tiro, ramificandosi mezzo social per manipolare l'opinione pubblica mondiale. Dal cuore della Russia.

Il quartier generale, come ricostruito da una recente inchiesta finanziata dal Counter Disinformation and Media Development del governo britannico, risiederebbe in alcuni locali affittati dall'Arsenal Machine-building di San Pietroburgo, un'azienda che produce equipaggiamento e tecnologie militari convertita nella versione 2.0 della famigerata «Internet Research Agency». Dietro la fabbrica di troll pro Putin, sempre lui: Yevgeniy Prigozhin, uno dei fedelissimi dello zar. Lo «chef di Putin» sarebbe a capo di un impero tentacolare, che spazia dalla propaganda ai servizi di ristorazione, alla società di mercenari Wagner Group, la stessa incaricata di assassinare il presidente Volodymyr Zelensky.

«Gli autori dell'inchiesta, di cui per motivi di sicurezza non riveliamo l'identità, hanno ricostruito - ci spiegano dal ministero degli Esteri di Londra - le strategie della nuova fabbrica di troll finalizzate a ingaggiare una rete sempre più ampia e professionale di sostenitori da coinvolgere in operazioni di disinformazione mirate». I principali canali di ingaggio dei propagandisti sono «otto piattaforme di social media tra cui Telegram, Twitter, Facebook e TikTok». Compito comune degli «influencer» foraggiati da Mosca: screditare i profili social degli oppositori e dei critici del Cremlino, tra cui politici europei, leader mondiali, siti d'informazione occidentali e star della musica.

Ripercorrendo tutta la filiera, dopo il reclutamento su Telegram o TikTok, al nuovo troll viene chiesto di attivare un Vpn, la rete di connessione privata, per poi sfoderare la micidiale «tattica del commento». Prima, ricerca contenuti pubblicati da utenti reali, coerenti con la linea che si vuole spingere. Poi, lavora per amplificare il messaggio, lo spamma nelle sezioni commenti in modo da moltiplicare le visualizzazioni senza violare la policy delle piattaforme.

A impressionare, del trolling russo, sono le tattiche di pesca assimilate dal social media marketing. «La propaganda di Putin - ci fa notare Darren Linvill, docente di Comunicazione alla Clemson University tra i massimi esperti di trolling - ha a disposizione un gran numero di troll pagati, spesso esperti informatici, con incarichi e quote da soddisfare, suddivisi in team per specializzazione linguistica. È tutto molto professionale».

I propagandisti cooptati da Mosca sono addestrati per adattarsi ai vari canali di diffusione e ampliare ogni volta il bacino di simpatizzanti, parlando direttamente alla pancia del proprio target. «Ci riescono - dice Paul Stronski, senior fellow per Russia e Eurasia presso il Carnegie Endowment for Peace - facendo proprio quello che ci si aspetterebbe da un troll russo. Uniscono toni duri nei confronti di chi critica la guerra a un linguaggio accessibile, a tratti umoristico, appetibile per il pubblico più giovane che usa i social».

La disinformazione affidata a un esercito di troll sempre più specializzato resta, però, pensata per manipolare l'opinione pubblica mondiale senza uscire dalla Russia. Raramente la filiera della propaganda si esternalizza o recluta agenti stranieri pagati per fare da megafono al Cremlino, come si è ipotizzato in relazione alla cosiddetta lista dei «putiniani d'Italia».

"Il trolling - sottolinea Linvill - è uno strumento usato da Putin soprattutto per controllare la narrazione interna. Lo zar, più che vincere la guerra di informazione in Occidente, mira a mantenere il potere in Russia». E la fabbrica di troll lo sta aiutando.

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