Per comprendere cos'è accaduto l'altroieri in Venezuela, dove la dittatura di Nicolás Maduro ha proclamato con 6 ore di ritardo tramite il suo braccio elettorale, il CNE, di avere «vinto» con il 51,2% dei voti contro il 44% dell'oppositore Edmundo González, partiamo dal titolo di Infobae, il portale più letto al mondo,appiattito sulle posizioni del socialismo di Pedro Sánchez: «La più grande frode della storia dell'America latina».
La strategia politica del procuratore generale del regime di Maduro, Tarek William Saab, ieri è stata la solita di sempre: accusare María Corina Machado, la principale leader dell'opposizione bandita dal regime dopo le primarie vinte a ottobre con il 92,5% dei voti, di voler falsificare i risultati. «Abbiamo visto come tutto fosse una bugia», ha dichiarato ieri, mentre scoppiavano proteste pacifiche in tutta Caracas, a cominciare da Petare, il più grande quartiere popolare dell'America Latina ed ex roccaforte chavista. E così, mentre Maduro riceveva a tempo di record le credenziali di proclamazione del CNE - «assumo il mandato del popolo di essere il suo presidente e di guidare il paese verso la pace e la prosperità» - una folla infuriata di poveri si riversava nelle strade. A sera il presidente annunciava «un tentativo di imporre un colpo di stato», per far scattare la repressione.
Il regime, sinora riconosciuto solo da paesi democratici del calibro di Cuba, Russia, Iran, Siria, Nicaragua, Corea del Nord, Bielorussia, Bolivia ed Honduras, ieri ha amplificato al massimo il principio della trasposizione tanto caro a Joseph Goebbels. Il leader della propaganda nazista citato da Sergei Lavrov lo scorso anno per accusare l'Unione europea nella scuola diplomatica di Brasilia. Riversare sull'avversario i propri difetti è tipico di tutte le dittature. E mentre Tarek William Saab, soprannome «Big Jim» per la muscolatura, garantiva che il black-out di 6 ore nella comunicazione dei risultati di domenica sarebbe stato causato da un attacco hacker al sistema elettorale effettuato «dalla Macedonia del Nord», Maduro firmava con un decreto il Piano 7T, in cui con la scusa di pace e dialogo avrà gli strumenti per una repressione senza precedenti. Dopo la frode, insomma, l'auto-golpe che lo indirizza definitivamente verso il suo modello dittatoriale prediletto, ovvero Cuba. Dal canto suo l'opposizione, che è riuscita a fare stampare gli scrutini del 40% dei seggi - da cui si evince che Maduro ha invece perso di largo margine, 30% contro 70% - ha dichiarato che González «ha vinto» e che «lotterà sino alla fine per dimostrarlo, scrutini alla mano».
L'operazione frode di Maduro era iniziata a fine marzo, quando il chavismo ha privato del loro diritto di voto 5 milioni di aventi diritto fuggiti all'estero nell'ultimo decennio. Se avessero potuto votare la frode per il regime sarebbe stata una mission impossible. Poi facendo circolare exit poll prodotti da un'azienda fantasma che davano una vittoria larga al chavismo, amplificati dall'ex presidente ecuadoriano latitante a Bruxelles, Rafael Correa. Frode resa palese dai risultati ufficiali divulgati dalla dittatura domenica notte con un totale di voti pari al 109%.
Insomma, Maduro peggio di Pinochet che nel 1988 fece un referendum dove chiese ai cileni se volevano altri suoi 8 anni ma accettò la sconfitta, dopo 15 anni di dittatura. Maduro vuole invece rimanere sino al 2031 ma il rischio è un «bagno di sangue» con la gente dei quartieri poveri che sta scendendo in strada se la polizia bolivariana ed i paramilitari di Maduro cominceranno a sparare.
Ieri Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay hanno
chiesto una riunione urgente del Consiglio Permanente dell'Organizzazione degli Stati Americani per salvaguardare la volontà popolare in Venezuela mentre María Corina Machado ha invitato il popolo a non ricorrere alla violenza.
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