Mafia, indagato Pignatone. "Ha favorito i boss"

L'ex super procuratore accusato di aver insabbiato il dossier sugli appalti con i grandi gruppi del Nord

Mafia, indagato Pignatone. "Ha favorito i boss"
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La scena incredibile di due ex magistrati della Repubblica, due icone della lotta alla mafia, che si rifiutano di rispondere ai colleghi che li accusano di crimini vergognosi. Il primo era stato Gioacchino Natoli, già pm del pool Antimafia di Palermo, che il 5 luglio aveva fatto scena muta davanti al procuratore di Caltanissetta, Salvo De Luca, e ai suoi pm. La stessa scena si ripete ieri, quando a venire convocato a Caltanissetta è un personaggio ancora più maiuscolo: Giuseppe Pignatone, procuratore aggiunto a Palermo, poi procuratore a Roma, oggi presidente del tribunale vaticano.

Lo accusano degli stessi crimini contestati a Natoli, favoreggiamento alla mafia: sono loro due, secondo gli inquirenti, ad avere insabbiato le indagini sul dossier «Mafia e appalti», quello che per la prima volta portava alla luce i rapporti tra Cosa Nostra e la grande imprenditoria del Nord. Fu quell'inchiesta (e non quella milanese di Mani Pulite) a spingere al suicidio Raul Gardini, ex numero 1 di Montedison e della Ferruzzi, il 23 luglio 1993. La verità che sta emergendo è che fu quella stessa inchiesta a decretare un anno prima la condanna a morte di Paolo Borsellino, ucciso con la sua scorta a Palermo il 19 luglio 1992.

Pochi giorni prima della strage, senza dire nulla a Paolo Borsellino, la Procura di Palermo guidata da Pietro Giammanco chiese l'archiviazione dell'indagine, fulmineamente accolta il mese dopo, a Borsellino ormai morto. Fino a pochi mesi prima, a condurre l'indagine era Pignatone, nonostante suo padre fosse alla guida della Sirap, l'azienda regionale ampiamente toccata dall'inchiesta.

Grazie al lavoro della Procura di Caltanissetta, dopo più di trent'anni si torna a scavare su quel coacervo di veleni. È una indagine indigesta a molti, perché cercare lì la spiegazione della morte di Borsellino demolisce la pista «ufficiale» dei pm di sinistra e dei loro massmedia di riferimento, secondo cui Borsellino avrebbe pagato con la vita la trattativa tra Stato e mafia. Oggi si sa che quella trattativa non è mai esistita, tutti i carabinieri incriminati sono stati assolti fino in Cassazione, le fantasie sui rapporti tra Corleonesi e la nascita di Forza Italia si sono sgretolate. E si arriva finalmente a scavare su quell'indagine insabbiata a Palermo che conteneva i nomi delle grandi aziende del nord: la Rizzani di Udine, la Calcestruzzi del gruppo Ferruzzi.

Quell'insabbiamento, dice oggi l'inchiesta di Caltanissetta, è stato reso possibile grazie a complicità eccellenti. Nell'avviso di garanzia a Natoli vengono citati esplicitamente, come beneficiari del favoreggiamento, sia la mafia che Gardini e il suo manager Lorenzo Panzavolta. A Natoli viene contestata proprio la richiesta di archiviazione, insieme al decreto di distruzione dei nastri con le intercettazioni alla base delle indagini. Anche l'accusa di favoreggiamento a Pignatone è basata sulla archiviazione immotivata dell'indagine: anche se la richiesta non porta la sua firma, la sua gestione del fascicolo avrebbe avuto, secondo gli inquirenti, il risultato di neutralizzare le accuse ai boss mafiosi e ai loro riferimenti al nord.

Nel capo d'accusa Pignatone e Natoli sono indagati in concorso con il procuratore Giammanco, morto nel 2018.

«Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato», dichiara Pignatone all'Ansa. Ma la sensazione è che un calderone sia stato finalmente scoperchiato.

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