Luigi Di Maio non ha certezze sull'esistenza di una regia russa dietro la crisi, ma su una cosa non ha dubbi: Vladimir Putin sta lavorando «per destabilizzare l'Italia e l'Europa». In interviste rilasciate a La Stampa e Il Messaggero, il ministro degli Esteri fuoriuscito dai Cinquestelle insiste sull'evidenza del cui prodest una disastrosa crisi politica a Roma in questo momento: e senza alcun dubbio questo soggetto si trova al Cremlino, che con il venir meno di Mario Draghi a Palazzo Chigi si libererebbe di una figura chiave nell'impostazione di politiche non solo italiane, ma europee coerentemente filoucraine e antiputiniane.
Di Maio fa intravedere un mix di ragioni personali e possibili input moscoviti dietro le scelte di Giuseppe Conte, e parla di «vendetta politica» dell'ex premier contro il suo successore: «Ancora non si dà pace per non esser riuscito a restare a Palazzo Chigi e provocando la crisi sta regalando il Paese all'estrema destra», afferma il capo della Farnesina. E osserva che tutto il mondo libero sta chiedendo di fare andare avanti il governo Draghi (ieri l'ha fatto anche la vicepremier ucraina Vereshchuk, dicendo che «con lui vinceremo la guerra»), mentre «a tifare contro sono i regimi», ricordando una volta di più che «non a caso quando Draghi si è dimesso qualcuno ha brindato, basta guardare al post di Medvedev», l'ambizioso numero due di Putin.
Per il ministro degli Esteri ex grillino «dobbiamo guardare come dice Draghi alla maggioranza di unità nazionale». È il tema caldeggiato dalle cancellerie occidentali, preoccupatissime che la fine della stabilità e della responsabilità italiane trascinino in un gorgo pericolosissimo le istituzioni e l'economia europee. Tema ripreso con toni accorati dal quotidiano economico britannico Financial Times, in un articolo intitolato «L'Italia ha ancora bisogno di Mario Draghi». E non solo l'Italia, si comprende leggendo il testo che fa riferimento a una serie di ricadute inquietanti che andrebbero ben al di là dell'Ue. Ma anche Ft vede nelle scelte di Conte qualcosa di peggio che ambiguo. Secondo il giornale inglese, «la guerra ha gettato un'ombra lunga sulla politica italiana, non solo perché ha fatto salire i prezzi dell'energia e dei generi alimentari, ma anche per i legami di lunga data con Mosca. Giuseppe Conte ha apertamente messo in dubbio la saggezza di inviare armi all'Ucraina, provocando una scissione nel suo partito». Segue un appello ai partiti italiani a impegnarsi nelle riforme di Draghi e a mantenerlo al suo posto: «La finestra per le riforme strutturali non deve chiudersi questa settimana, whatever it takes».
A proposito di affinità pentastellate con Mosca, meritano per una volta attenzione le vicende di Alessandro Di Battista, tra i più ostili alla permanenza del M5S nella maggioranza di governo. Il duro-e-puro del grillismo si trova attualmente in Russia, dove come ci informa dal suo profilo Facebook sta scrivendo per Il Fatto quotidiano, «un giornale libero che mi consente di scrivere tutto ciò che voglio», un reportage sui rifugiati del Donbass che ha incontrato a Belgorod in Russia. Di Battista nega di essere un putiniano per il fatto di raccontare le loro storie di vittime dei miliziani neonazi ucraini. Lamenta il presunto massacro subito da anni da parte di giornali e tv italiani e afferma che non gliene importa nulla, «perché conta sempre di più la mia coscienza». Il non-putiniano Di Battista invita a ricordare che anche le armi inviate all'Ucraina uccidono civili, e conclude dicendo di credere che «un negoziato sia possibile se solo i leader politici lo volessero davvero.
Servirebbe tuttavia un'Europa indipendente davvero e non schiacciata su posizioni nordamericane, una grande potenza che ha oggi interessi diametralmente opposti a quelli europei». Sono esattamente le tesi del Cremlino, ma forse Di Battista non lo sa.
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