Dopo le pensioni d'oro, l'abbandono dell'euro. Le uscite di Luigi Di Maio gli si ritorcono contro, una a una. Ecco ieri il candidato premier del M5s a L'Aria che tira, su La7: «Se dovessimo arrivare al referendum sull'uscita dall'euro, che per me è l'extrema ratio, è chiaro che sarei per l'uscita perché vorrebbe dire che l'Europa non ci avrebbe ascoltato su nulla, ma prima proverei a ottenere risultati andando in Europa».
Un tweet di Matteo Renzi lo inchioda subito a quella frase. «Stavolta Di Maio ha fatto chiarezza, bisogna ammetterlo: lui voterebbe per l'uscita dall'euro. Io dico invece che sarebbe una follia per l'economia italiana». Poco prima il segretario del Pd commentava su Facebook il miglioramento nell'export registrato dall'Istat, chiedendo: «Immaginate cosa accadrebbe al nostro export, e ai lavoratori delle aziende interessate, se al governo ci fosse chi vuole uscire dall'euro come Salvini o Di Maio? Chi pagherebbe il conto?». E sottolineava le ricadute occupazionali se l'Italia «scegliesse la strada dei dazi e della chiusura». È il segnale per aprire il ballo delle polemiche da sinistra, con Pd e «Liberi e Uguali» scatenati.
Appena se ne rende conto, Luigino cerca di riparare con la solita rettifica-non rettifica. Scrive su Fb che «l'obbiettivo di governo del M5s non è assolutamente l'uscita dall'euro, ma rendere la permanenza del nostro Paese nella moneta unica una posizione conveniente per l'Italia». Che porterà in Europa un «pacchetto di proposte», proprio perché è «fiducioso nella strada del dialogo con le istituzioni europee». Poi, però, conclude: «Se l'Europa sarà rimasta sorda a tutte le nostre richieste, non sacrificheremo la ricchezza e il benessere degli italiani sull'altare dell'euro».
Proprio mentre apre a future alleanze, dicendo a Radio Capital che se il M5s non arriverà al 40 per cento, farà «un appello a tutte le forze politiche entrate in parlamento basato sui temi», Di Maio si scopre su uno dei temi più sensibili a livello internazionale, attirandosi attacchi da sinistra. Alla frase di Renzi, che lo accomuna al leader della Lega (peraltro ora dalle posizioni più pacate sul tema) replica debolmente: «Ormai siamo alle offese, non le commento. Noto però che c'è una certa paura nel centrosinistra...».
Da governo, Pd e LeU sono già partite le stoccate. Dice il Guardasigilli Andrea Orlando: «Voterebbe contro l'euro al referendum ma vuole rimanere nell'euro. E forte di questa linea molto chiara andrebbe a Bruxelles a porre delle condizioni». «Di Maio non ne azzecca una», sfotte il dem Stefano Esposito. E Stefano Fassina di Si spiega: «Sull'euro il referendum consultivo è impraticabile per evidenti ragioni pratiche: la fuga di capitali dall'Italia e l'impennata degli spread sui titoli di Stato al solo annuncio di volerlo celebrare».
E dire che l'aspirante premier voleva rompere lo splendido isolamento del M5s, dicendo a Circo Massimo che si governerà «con chi ci sta», sui «temi e non sugli scambi di poltrone».
Che il Pd «è destinato a scendere sotto il 20%, è come se fosse sul Titanic», che la squadra di governo (non ci sarà Alessandro Di Battista), «sarà patrimonio del Paese» non del movimento e che lo «terrorizza la prospettiva di un Gentiloni bis di breve durata.
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