Donne, giornaliste e di destra. Insieme per dare voce a tutte quelle colleghe, ma non solo, che oggi pur essendo brave non hanno il successo che meriterebbero. Per promuovere la loro crescita professionale e la piena parità di genere e per sentirsi «libere di valere». È lo slogan di «Giornaliste italiane», ma vuole e deve essere quello di tutte le donne stanche di sentirsi «mogli di» o «figlie di». Un modo per dare voce anche a chi non ce l'ha.
Nasce da questa esigenza l'associazione di professioniste dell'informazione, non solo sovraniste, promossa da Giovanna Ianniello, storica portavoce della premier Giorgia Meloni, presentata ieri sulla terrazza Civita, a Roma, un luogo dal forte richiamo simbolico con il suo affaccio su Palazzo Venezia e sull'Altare della Patria, seppur disturbato dal cantiere della metro C, davanti ad un parterre d'eccezione composto da direttori di rete, di giornali e di agenzie di stampa. Ci sono anche il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri.
È la prima volta che le giornaliste non progressiste si uniscono in un'associazione «di cui si sentiva un gran bisogno», dice Ida Molaro, cronista parlamentare Mediaset, che dà il via alla presentazione rivendicando ruoli apicali per le colleghe in gamba, che ci sono, ma non hanno lo stesso trattamento degli uomini, come dimostra una ricerca di SocialCom sul gap di genere nella professione giornalistica: su 38 direzioni di testate prese in esame solo 6 sono coperte da donne. Eppure, incalza Molaro, «abbiamo dimostrato di essere in grado di gestire la politica, abbiamo la presidente del Consiglio donna e sono donne il presidente della Commissione europea e del parlamento europeo». L'etichetta «giornaliste di destra», però, le sta stretta: «Trovo sia un fallimento quando di un giornalista si dice di destra o di sinistra. Non si va da un medico perché è di destra o di sinistra, ci si va perché è bravo».
«Giornaliste italiane» vuole rappresentare altro, vuole «più diritti e meno pregiudizi» perché farsi valere non è facile e soprattutto non è uguale per tutti. «Come ha ricordato qualche giorno fa il presidente Mattarella, le donne hanno bisogno di un supplemento di fatica per affermarsi, ma quando otteniamo determinati ruoli siamo affidabili, capaci, caparbie e rispettose. Lo hanno ampiamente dimostrato la presidente del Consiglio e la segretaria del primo partito dell'opposizione, due modelli che ci hanno ispirate facendoci pensare che il nostro momento era arrivato», spiega Paola Ferazzoli, giornalista Rai.
Non vogliono essere chiamate «direttora», ma vogliono essere trattate da direttore. L'ambizione è quella di «diventare un movimento culturale per le colleghe, libere da pregiudizi e scevre da qualsiasi vittimismo». Non vogliono essere una specie protetta ma, confrontandosi con tutte le donne, migliorare questo percorso e diventare il megafono i quelle che lavorano e che devono sgomitare il doppio degli uomini per arrivare.
Puntano a diventare una squadra, una voce ascoltata che lotta per principi di uguaglianza. Tra gli obiettivi dell'associazione, in questo momento in cui il tema è più che mai un'emergenza, anche una campagna di sensibilizzazione sul problema della violenza sulle donne.
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