I servizi segreti hanno lanciato da mesi l'allarme sul focolaio di tensione in Kosovo, pronto a fare il botto, che assieme a Moldavia e Georgia sarebbero l'obiettivo di operazione destabilizzanti dell'intelligence russa per aprire altri fronti in Europa. Una spina nel fianco, alle porte di casa nostra, come «diversivo» rispetto al conflitto in Ucraina. In realtà ci vuole poco ad attizzare i Balcani, che sono già capaci di infiammarsi da soli. I duri scontri di ieri nel nord del Kosovo e il ferimento dei nostri soldati della missione Kfor della Nato sono le scintille esplosive di una crisi annunciata.
Le radici del bubbone risalgono all'intervento alleato contro i serbi e Belgrado per il pugno di ferro e i crimini contro l'etnia albanese, che ha portato all'indipendenza del Kosovo non riconosciuta da tutti i paesi. Nel nord, l'area di Mitrovica è sempre rimasta un'orgogliosa enclave abitata in stragrande maggioranza dai serbi, che non vuole saperne del governo di Pristina. Dopo l'invasione in Ucraina, la prima scintilla è stata l'imposizione delle targhe kosovare. Ai pochi serbi che si sono piegati hanno bruciato la macchina. La «guerra» delle targhe sembrava rientrata, ma gli albanesi hanno avuto la peregrina idea di eleggere dei sindaci nei comuni attorno a Mitrovica, nonostante il boicottaggio serbo. Gli scontri sono scoppiati perché i soldati della Nato dovevano mantenere l'ordine per l'arrivo del primo sindaco, albanese, a Zvecan. Nella cittadina a maggioranza serba è stato votato da appena 1500 abitanti su 45mila. Inevitabile lo scontro, che per ora avrebbe registrato solo molotov, forse ordigni artigianali, bastoni e pietre. Non ancora kalashnikov, che ogni famiglia tiene in casa.
Gli italiani sono in mezzo con i circa 700 uomini sui 4mila della Kfor e il generale Angelo Michele Ristuccia, che comanda la missione Nato. Prima degli scontri aveva sentito il capo di stato maggiore serbo, Milan Mojsilovic. Belgrado ha schierato da due giorni l'esercito al confine, in stato di massima allerta. L'Italia è in prima linea anche sul versante politico dopo la visita congiunta dei ministri degli Esteri e della Difesa nell'area. Antonio Tajani, vicepremier e responsabile della Farnesina, ha subito chiamato il premier kosovaro, Albin Kurti. Il governo serbo lo accusa di gettare benzina sul fuoco con il velato appoggio americano, che in Kosovo mantiene Camp Bondsteel, la più grande base nei Balcani.
L'Europa, a fatica, sembrava avere raggiunto con i contendenti degli accordi di massima per una via d'uscita definitiva verso il riconoscimento reciproco. La violenza delle ultime ore potrebbe diventare l'epitaffio delle speranze negoziali, con attori esterni interessati a mestare nel torbido.
Per il ministro egli Esteri russo «si sta sviluppando una situazione esplosiva nel cuore dell'Europa, dove la Nato ha sferrato un'aggressione contro la Jugoslavia nel 1999». Da mesi l'ambasciatore russo a Belgrado stuzzica sul Kosovo. Si era fatto filmare mentre visitava due basi militari vicino al confine kosovaro accompagnato dal ministro della Difesa serbo. Non è escluso che la Wagner abbia cominciato a infiltrare le enclave serbe per arruolare adepti.
Dall'altra parte della barricata, il primo ministro albanese, Edi Rama, ha visitato Pristina attaccando «le teatrali manovre militari della Serbia». Un miscuglio esplosivo di vecchi rancori e nuove provocazioni, che rischia di scoppiarci in faccia a un tiro di schioppo dall'Italia.
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