
L'establishment di cui la magistratura fa parte vuole «erodere la volontà popolare», legiferare in modo creativo sull'immigrazione ma non solo e scegliersi la classe politica, in Italia e all'estero. La nettezza con cui un giudice a riposo come il sottosegretario Alfredo Mantovano tratteggia lo scontro in atto scatena la solita reazione sguaiata della magistratura più ideologica, colpita nel vivo dalla sua analisi lucida, tanto da chiamare in causa la Corte costituzionale, come fa l'Anm in serata, strattonandone le vesti come arbitro dello scontro, in spregio alle prerogative della Consulta - impegnata su fronti delicatissimi, dal fine vita all'Autonomia - come se fosse l'ultimo fortino delle toghe.
L'esponente Fdi sceglie l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Consiglio nazionale forense per sganciare la bomba: «C'è un cronico sviamento della funzione giudiziaria che deraglia dai propri confini e decide norme e politiche sui temi più sensibili», scrive Mantovano. Convinto che, in riferimento alla leader francese Marine Le Pen ma non solo, sul «merito della decisione giudiziaria sull'incandidabilità di un soggetto politico» incida il suo essere percepito come «ostile». Da qui «un equilibrio sempre più «precario tra poteri negli ordinamenti occidentali» sebbene delineato in modo chiaro dalle Costituzioni, eppure la volontà popolare viene aggirata per via giudiziaria con «la creazione delle norme per via giurisprudenziale», «la sostituzione delle scelte del giudice a quelle del governo» e appunto «la selezione per sentenza di chi deve governare», negli Usa e in Italia.
Difficile non condividere queste conclusioni, peraltro non più limitate soltanto alle «toghe rosse» come trent'anni fa. Basti pensare come si sia disinnescato il Protocollo con l'Albania e le misure del governo nella lotta all'immigrazione clandestina (con sentenze fotocopia e non caso per caso, come chiedeva la Cassazione) grazie al filone della giurisprudenza «creativa» sull'immigrazione, in nome di una interpretazione estensiva (vedremo presto come finirà) di norme Ue ormai desuete e superate e di una lettura parziale della sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre scorso sui «Paesi sicuri» dove rimpatriare i clandestini senza diritto d'asilo. Tutto per mano dei giudici di Corti d'Appello e sezioni Immigrazione - spesso grazie a toghe di Magistratura democratica, come Silvia Albano a Roma che di Md è presidente. Come spiega lo stesso Mantovano, quando dice che la «giurisprudenza creativa non è più eccezionale», adesso dà «una lettura assai estensiva, per non dire arbitraria, delle norme costituzionali» per costruire leggi «che il Parlamento non ha mai approvato», negando al tempo spesso «spazi regolativi al legislatore», con leggi «sistematicamente disapplicate» come quelle sull'immigrazione come annunciato «in convegni e scritti». Il Guardasigilli Carlo Nordio condivide il pensiero del collega di governo, accusando le toghe «nel tramonto delle ideologie» a muoversi più per criteri di potere legati alla degenerazione «correntizia» che per mera fede politica, proprio mentre le toghe rivendicano il diritto di fare politica e discutere di riforme con i partiti, cosa impensabile per le magistrature di tutto l'Occidente in pieno dibattito parlamentare. Altro che il doveroso mea culpa delle toghe sullo stato comatoso della giustizia, zero soluzioni alla disastrosa situazione delle carceri alla quale contribuiscono anche i troppi errori giudiziari e le ingiuste detenzioni che ci costano milioni di risarcimenti (che i magistrati non pagano mai di tasca loro) tanto che il governo ha in mente di limitare la custodia cautelare di chi non ha una condanna definitiva, togliere i tossicodipendenti dai penitenziari e accelerare l'invio dei detenuti stranieri nei loro Paesi.
Dal Csm si leva subito la contrarietà del membro laico in quota Italia Viva Ernesto Carbone, che bolla le parole di Mantovano come «pericolose» perché pronunciate da un ex magistrato.
L'Anm ribatte immediatamente: «Se il governo ritiene di essere limitato da questo esercizio di poteri può ricorrere alla Corte costituzionale», sottolinea il vice segretario dell'Associazione nazionale magistrati Stefano Celli, tirando per la giacchetta i giudici della Consulta e trascinandoli nell'agone politico. Dando peraltro ragione a Mantovano sull'equilibrio tra poteri sempre più precario.
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