Marino attacca Renzi: «Scontrini? Io 12mila euro Ma lui ne spese 600mila»

I veleni dell'ex sindaco alla presentazione del suo libro: «Trasparenza anche su quanto pagò Matteo ai tempi della presidenza della Provincia»

Se per una volta Pd fosse termine conciliabile con la parola «verità», li avremmo visti tutti in deliquio al Nazareno, davanti all'imperscrutabile disegno di un'astronave scesa dall'altro mondo, pronta domani ad annunciare la candidatura al Campidoglio di un proprio rappresentante «civico». Invece l'atterraggio del solito Ignazio Marino, marziano ormai domestico e appena appena nocivo con il suo libro-verità, mette il Pd oggettivamente in mutande solo in modo indiretto: mostrandone l'incapacità irrimediabile, la testimonianza diretta che quanto dice Marino ha l'ingenuo, acerbo sapore della verità. L'ordine velinaro del minculpop («mi-ni-miz-za-re!») è seguito alla lettera: chi fa l'«offeso» (Guerini, Causi), chi il pesce in barile (Zingaretti, Giachetti), chi sputtanato di suo si gonfia di bile (Orfini: «Non recensisco romanzi fantasy»).Al punto che, sosteneva Quagliariello, «meglio del libro di Marino c'è solo la reazione di quelli del Pd». Sacrosanto. Ieri era la giornata di re-insediamento di Ignazio sulla Terra, e mai s'era visto scendere la verità del Pd così terra-terra, e nel senso concreto del termine. Sangue e merda messe nero su bianco. Purtroppo con una pecca enorme: nulla di giudiziario, ché anche la delazione aspirerebbe a una sua grandezza, come la reità disvelata. Invece soltanto l'ordinario schifo di un Pd ridotto a grumo d'affari, a organizzazione di manovalanze più o meno corrotte e compiacenti, a respingimento violento dei corpi estranei (Marino). Così l'ex sindaco va un passettino oltre l'agiografia della propria giunta, e da «non-iscritto» spiega durante l'intera mirabolante giornata sotto i riflettori, che «se avessi seguito i consigli del Pd adesso sarei in cella di isolamento; che il Pd avrebbe gradito che emigrassi in Alaska o Nuova Zelanda, che spegnessi il cellulare e facessi perdere le tracce», e che, soprattutto, a «fermare il cambiamento» è stato un nome solo, su tutti: Renzi, Matteo. Concetto che, a proposito dell'imminente referendum sulle trivelle, viene condiviso da molti, non a caso pure dall'ex leader Bersani («Incredibile invitare gli italiani a non votare»). Ma che non fa demordere i renziani da andare avanti come bulldozer, e scongiurare la sospensione dell'attività parlamentare per il referendum sgradito (per di più c'è in calendario l'ultimo passo della riforma Boschi).Marino è preciso nella sua ricostruzione, come nelle valutazioni postume: «Renzi ha ordinato ai consiglieri del Pd di dimettersi, preferendo riallacciare il rapporto con le lobby che vanno a pranzo con lui e decidono nei salotti il governo della città». Atteggiamento «irresponsabile», osserva Marino. Ma «d'altra parte se lo può permettere perché è premier senza aver avuto neanche un voto». Così sugli scontrini benedetti (12mila euro) rileva di «aver pubblicato tutto e subito, mentre dei 600mila euro spesi da Renzi presidente della Provincia di Firenze» nessuno ha ritenuto democratico e corretto farlo. Tutto vero, verissimo, senza ombra di dubbio. Compresi passaggi più border-line, le pressioni pidine per Coratti o Odevaine (finiti in Mafiacapitale), i tradimenti personali e i consigli indecenti, le maldicenze sul rapporto con Sua Santità.

«Non mi ritengo licenziato dal Papa», rimarca Marino che ha avuto «l'autorizzazione» a scrivere di un incontro chiarificatore svoltosi in udienza privata il primo febbraio scorso. «Non va certamente attribuito a lui quel che va attribuito a Renzi o al Pd». Ex malo bonum, a Cesare quel che si merita. Ignazio messaggero di carità, più che di pace.

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