Maroni mostra i muscoli ma Salvini tiene duro. E Grillo tenta lo scippo

Il segretario evita di cavalcare il vento del Nord Il M5s si inserisce: "Non è la vittoria della Lega"

Maroni mostra i muscoli ma Salvini tiene duro. E Grillo tenta lo scippo

Il vento del Nord ha ripreso a tirare: 5 milioni di elettori italiani sono andati alle urne con un messaggio preciso diretto a Roma: più autonomia, meno tasse. «Ora inizia la vera partita» ha detto ieri il governatore Roberto Maroni, dopo aver precisato che questa partita si gioca nelle istituzioni e non dentro il suo partito, la Lega Nord: «Andrò a Roma con il peso di oltre 3 milioni di lombardi e 2 milioni di veneti» ha spiegato.

Alla fine di uno scrutinio tormentato, Maroni ha potuto annunciare che, anche senza quorum da raggiungere o partiti da scegliere, 38 lombardi su cento si sono scomodati per votare. Tanti, se si guarda alle affluenze delle Comunali. Tanti, se è vero che le previsioni circolanti al Pirellone alla vigilia (da 37% in su) erano considerate «sovrastimate». Nonostante il Pd lombardo già ieri mattina si agitasse nel tentativo di sminuirlo. E nonostante il blog di Grillo, che smonta il successo del Carroccio: «È una vittoria dei cittadini, non della Lega o degli altri partiti». Ma il successo politico c'è ed è da ascrivere soprattutto ai due «big» che a Milano, hanno messo la faccia sulla battaglia referendaria: Silvio Berlusconi e Roberto Maroni. Più difficile delineare la posizione di Matteo Salvini. Il segretario nazionale leghista ha avuto tutti gli occhi puntati addosso. La sua agenda settimanale, le concomitanze dei suoi impegni, il numero dei post facebook dedicati a questo o quello: tutto è stato letto come un possibile segnale di disinteresse alla vigilia del voto e come un sintomo di imbarazzo dopo. La tesi è che il ritorno in grande stile della Lega nordista rompesse le uova nel paniere sovranista della nuova Lega o di «Noi con Salvini». O ancora, che un exploit come quello del governatore-Doge Luca Zaia sminuisse le ambizioni da aspirante premier dello stesso Salvini». «Non esiste - è tornato a chiarire ieri il governatore veneto - soprattutto davanti a un voto come questo bisogna stare qui in Veneto e fare presidio». E anche Maroni ha rassicurato: «Ho chiarito a Salvini - ha detto - che la conseguenza di questo referendum per me non sono i rapporti interni alla Lega o al centrodestra». «A Salvini - ha concluso - ho voluto confermare che io seguo la strada istituzionale. Le conseguenze politiche nel centrodestra se le vede lui». Parole chiare, ma per una volta i governatori del Nord sono nella comoda posizione di chi rassicura, e il segretario nella parte di chi deve spiegare: «In questi giorni ho sentito Zaia e Maroni più dei miei genitori - ha detto - abbiamo concordato la strategia». Il segretario è stato ben attento a non mostrare troppi entusiasmi per la Catalogna indipendente e allo stesso modo ieri ha dato del referendum una lettura tutta giocata sulla contrapposizione popolo-élite più che sull'asse Nord-Sud: «Abbiamo vinto sui poteri forti 5 a zero» ha sentenziato, prospettando la chance del referendum autonomista a «tutte le Regioni che lo chiederanno» (Puglia, Lazio, Abruzzo e Piemonte).

Il Carroccio, insomma, oggi, si gode la confortante sensazione di avere ancora il Nord a gonfiargli le vele. E intanto spera che la divisione dei compiti fra Salvini, Maroni e Zaia, consenta di giocare e vincere entrambe le partite: quella per il governo romano e quella dell'autonomia da Roma.

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