Nuova bozza di decreto, nuovo cambio di strategia sul prezzo delle mascherine. Sintetizza bene la situazione il radicale Marco Cappato: «I prezzi imposti per le mascherine non hanno funzionato. Una vera sorpresa. Non fosse che per il fatto che non hanno mai funzionato nella storia dell'umanità».
Meglio cavarsela con l'ironia. Perché a essere seri c'è da piangere per il risultato di una gestione delle protezioni anti virus che è passata da poco funzionale a disastrosa. E infatti le ultime bozze di documenti governativi legati all'ex Dl aprile sconfessano la scelta di fissare il prezzo delle mascherine a 50 centesimi. Nel faldone che raccoglieva tutte le proposte dei ministeri compariva una tabella che indicava in 1,50 euro il nuovo prezzo fissato per legge. Un'altra soluzione pasticciata: stabilire un prezzo troppo basso, veder sparire le mascherine dagli scaffali e poi triplicare il prezzo originario sarebbe stata un'altra scelta sconsiderata.
La nuova ipotesi contenuta nella bozza aggiornata alla notte di sabato, ruota intorno al «mark up», cioè il ricarico rispetto al costo di produzione. In pratica: la norma prevede che siano i produttori a indicare esplicitamente un prezzo consigliato per le mascherine e, nel caso di mascherine importate, «un margine di ricarico sulla base di fattori fisiologici di mercato e comunque in ogni caso non superiore al 50% del costo di importazione». Sarebbe poi previsto comunque un prezzo massimo, il che rischia di provocare un nuovo circolo vizioso.
Al di là del meccanismo regolatore che sarà prescelto, si propone un fatto politico non irrilevante. Dall'esame delle bozze è evidente che nel governo c'è chi cerca attivamente strade alternative a quella scelta dal commissario straordinario Domenico Arcuri nemmeno due settimane fa, il 26 aprile, con la sua ordinanza numero 11: fissare il prezzo a 50 centesimi più Iva. Scelta contestata dal punto di vista dei principi economici, al punto da provocare una scomposta reazione da parte del manager, che se la prese con «i liberali da divano». Salvo ritrovarsi in poche ore costretto a correre ai ripari. Prima la protesta dei farmacisti, poi quella dei supermercati, chiusa con l'offerta di rimborsi a entrambi. Per ritrovarsi infine con mascherine introvabili per tutta la scorsa settimana, dopo aver dichiarato che le mascherine a prezzo ribassato sarebbero state disponibili in migliaia di punti vendita dallo scorso lunedì.
Un flop clamoroso che ha attirato su Arcuri critiche veementi. Anche perché la carenza di mascherine è coincisa proprio con il primo step di riaperture dopo il lockdown, cioè quando ce n'era più bisogno. Per tentare di metterci una pezza, il commissario ha dovuto stringere accordi anche con i distributori e sempre garantendo un «ristoro», mentre produttori che avevano riconvertito l'attività per sfornare mascherine cominciavano a rinunciare al business. Una sconfessione così netta da parte del governo è compatibile con la permanenza in carica del commissario che risulterebbe fortemente indebolito?
Vedremo se l'ipotesi contenuta nella bozza sarà confermata dal Consiglio dei ministri insieme al via libera all'attesa esenzione Iva per tutto il 2020 per le mascherine e tutti i presidi sanitari legati al Covid: ventilatori
polmonari, guanti, camici, disinfettanti, erogatori di gel. Pare incredibile, ma da mesi lo Stato continua a incassare l'Iva su questi beni se venduti ai privati. Il decreto doveva arrivare ad aprile, ma le liti l'hanno frenato.
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