Re Sergio? Macché. «Fortunatamente», dice Sergio Mattarella, «non sono un sovrano, non ho potere legislativo» e quindi non serve a nulla tirarmi per la giacca. «Quando il presidente della Repubblica promulga una legge, non la firma, non la fa propria, non la condivide. Semplicemente, compie il suo dovere». Il caso è fresco, ancora guizzante: il via libera tra tante polemiche a una commissione parlamentare d'inchiesta sul Covid. Il capo dello Stato, forse, chissà, «non condivide» però in mattinata fa comunque «il suo dovere» e «promulga», perché il provvedimento è stato votato dalle Camere. E' così e basta. Come la libertà di stampa, «fondamentale per la nostra democrazia e tutelata dalla Costituzione». Non c'è molto da discutere, «le istituzioni devono proteggerla». Poche ore dopo aver autorizzato la nascita della commissione, Mattarella riceve i giornalisti e i vertici della Casagit. «Certe volte - si lamenta - ho come l'impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto Albertino, in cui la funzione legislativa veniva affidata congiuntamente alle due Camere e al re, che prima di promulgare doveva apporre la sua sanzione, cioè la sua condivisione nel merito». È passato un secolo e mezzo, la monarchia non c'è più. Eppure. «Di frequente il presidente della Repubblica viene invocato con difformi e diverse motivazioni. Gli si rivolge con veemenza. Il capo dello Stato non firmi quel provvedimento perché non può condividerlo, perché è sbagliato. Oppure: ha firmato quindi l'ha condiviso».
Appelli, pressioni, strattoni inutili. Tentativi maldestri di coinvolgere il Quirinale nel dibattito politico, di farlo schierare: il Colle non approva e non boccia il lavoro di Montecitorio e Palazzo Madama. «Dobbiamo rispettare la divisione dei poteri. Sarebbe grave se un organo dello Stato pretendesse di attribuirsi compiti che la Costituzione assegna ad altri». Quindi quello della promulgazione, spiega, non è un'azione politica né di approvazione. Si tratta invece «di un atto indispensabile per la pubblicazione e l'entrata in vigore delle leggi, con cui si attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità».
E il corso rapido presidenziale, il ripasso veloce della Carta, prosegue pure su un altro argomento, la libertà di espressione. «La stampa è essenziale per tutte le democrazie. Nella nostra Costituzione c'è una tutela chiara, netta, indiscutibile, a fronte della quale vi e un'assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti: la lealtà, l'indipendenza dell'informazione, la possibilità di critica nel rispetto dei fatti e della personalità altrui».
Sembra una banalità, un dato acquisito da decenni e decenni, tuttavia ci dev'essere qualcosa non va se il capo dello Stato sente la necessità di ribadirlo. «La libertà di stampa è un carattere indispensabile della nostra società e io ho cercato tante volte di richiamarlo e sottolinearlo».
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