E ora «subito al lavoro», perché non c'è più un minuto da perdere: i problemi del Paese non aspettano. Programma, rinforzo della squadra, piano per il Recovery, questa la scaletta preparata dal capo dello Stato per Giuseppe Conte, il binario sul quale «ripartire» con «efficacia e condivisione» per superare l'emergenza sanitaria e quella economica. Sembra la piattaforma per un nuovo governo, la sintesi dopo incontri e consultazioni, in realtà dal punto di vista protocollare la crisi non si è nemmeno aperta. Insomma, non è cambiato nulla, tranne una cosa: nonostante la doppia fiducia, a Palazzo Chigi oggi siede un premier indebolito e ammaccato. Un'anatra zoppa. Ce la farà, si chiedono dal Colle, ad andare avanti con una maggioranza così, ad insalata mista? Per quanto tempo? E come pensa di governare senza controllare le commissioni parlamentari? Qualunque riforma, pure la più piccola, rischia di impantanarsi.
Dubbi e timori che oggi Sergio Mattarella riverserà sul «sopravvissuto», quando salirà per riferire. Il presidente, che forse avrebbe preferito che Conte mediasse piuttosto che cercare la prova di forza, in questi giorni si è tenuto ben lontano dalla campagna acquisti al Senato. Non l'ha favorita, non l'ha ostacolata. La salute e la conclusione dei governi, fanno notare dal Colle, «dipendono dallo sviluppo del loro rapporto con il Parlamento: sono in vita fintantoché entrambe le Camere confermano la fiducia, devono dimettersi quando viene negata». E il capo dello Stato è «estraneo a questa dinamica», perciò non chiederà a Conte, capo di un esecutivo di minoranza, di rimettere il mandato.
Però, al di là dei numeri comunque risicati, adesso bisogna tirare altre somme. La verifica, ad esempio, dopo tante chiacchiere non si è mai chiusa: che si fa con i volenterosi, chi andrà al ministero dell'Agricoltura? E le questioni di fondo sollevate da Renzi, ma anche dal Pd? L'elenco è lungo. Il governo sarà più collegiale? Le scelte condivise? Le decisioni rapide? Il piano per la ricostruzione preparato meglio? I vaccini distribuiti? I trasporti riorganizzati? Le casse integrazione finanziate? I ristori garantiti?
Conte infatti, per salvare lo scalpo, alla fine ha ceduto su tutto: Recovery, cabina di regia, servizi segreti, legge elettorale. Ha tenuto soltanto sul no al Mes per la Sanità perché sarebbero esplosi i Cinque stelle. In pratica si è tornati al programma iniziale della coalizione giallorossa, come se un anno e mezzo non fosse passato. Si ricomincia da capo, in una situazione sempre più precaria, e ci si domanda perché certe correzioni di rotta il premier non le abbia fatte prima, evitando la rottura con Italia Viva. Insomma, basta con annunci e promesse: è giunto il momento, dicono al Colle, di passare ai fatti.
Le prospettive non sono buone. Più che del borsino di Palazzo Madama, delle complesse e colorite vicissitudini della caccia ai responsabili, nelle ultime ore Mattarella si è preoccupato delle reazioni internazionali. Più che gli interventi in aula di Conte e Renzi, ha seguito le dichiarazioni allarmate in arrivo da Bruxelles. L'avviso ai naviganti lanciato dal commissario all'Economia Paolo Gentiloni, per il quale il nostro Recovery «è una buona base ma va rafforzato e discusso». E le parole del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, il quale spera «che l'instabilità politica non metta a repentaglio il piano perché l'Italia è il maggior beneficiario: i fondi sono necessari per la ripresa, devono arrivare».
Dunque non è certo, potrebbero non arrivare. E si torna alla domanda iniziale: sarà in grado un governo così rabberciato di gestire il più importate programma di ricostruzione dal Dopoguerra? Sì, Mattarella è molto preoccupato.
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