Oggi sono undici mesi esatti da quando Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi fecero visita a Irpin e Bucha, cittadine alle porte di Kiev «martiri» dell'aggressione della Russia per i crimini di guerra commessi dalle truppe di Mosca contro civili innocenti. Era il 16 giugno dello scorso anno e i tre avevano appena trascorso una notte in treno dal confine polacco alla capitale ucraina, con la foto nel vagone che ospitò il loro lungo faccia a faccia notturno destinata a restare nei libri di storia. Proprio davanti alle palazzine sventrate di Bucha, l'allora premier italiano fu tra i primi a dire che «le responsabilità di tali crimini» dovevano essere «accertate» al più presto e poi «punite», spiegando anche che l'Ucraina aveva già messo in piedi «un sistema digitale per cui ogni luogo che è stato distrutto viene catalogato, con tanto di app attraverso cui ogni singolo cittadino può fare una descrizione dell'accaduto». Da allora, tutti i leader europei che sono stati a Kiev (Giorgia Meloni lo scorso 21 febbraio) sono andati a deporre fiori a Irpin e Bucha, per poi passare davanti alla lunga serie di foto che immortalano la devastazione voluta da Mosca. Per rendere omaggio alle vittime e manifestare vicinanza e solidarietà, certo. Ma anche perché Volodymyr Zelensky ha da subito capito che la comunicazione sarebbe stata un'arma fondamentale della guerra con la Russia. E già undici mesi fa si era concentrato su due richieste fondamentali. Non solo, come è noto, un sostegno sul fronte delle armi e il via libera per l'Ucraina allo status di Paese «candidato» all'adesione all'Ue, ma anche l'istituzione di un registro dei danni e il riconoscimento delle responsabilità per i crimini di guerra. Due fronti, questi ultimi, che avranno un peso non indifferente quando si spera al più presto si riuscirà finalmente ad aprire un negoziato tra Kiev e Mosca per un cessate il fuoco.
A quasi un anno da quella richiesta messa sul tavolo dal leader ucraino nell'incontro a Palazzo Mariinskij con Macron, Scholz e Draghi è tra oggi e domani che il Consiglio d'Europa in programma a Reykjavik, in Islanda, darà il via libera al «Registro internazionale dei danni» subiti dall'Ucraina. Una due giorni che riunisce 46 tra capi di Stato e di governo (non la Russia, che fu sospesa il 25 febbraio dello scorso anno, poche ore dopo l'invasione, e poi espulsa) e che sarà concentrata spiega la premier islandese Katrín Jakobsdóttir sul «chiedere giustizia per le vittime della guerra contro l'Ucraina».
Si tratta del quarto vertice della storia del Consiglio d'Europa che, a differenza del Consiglio europeo, non fa parte dell'Ue ed è un'organizzazione internazionale autonoma fondata nel 1949. Peraltro, l'ultimo summit con un peso simile a quello che si aprirà oggi risale al 2005 a Varsavia, ben 18 anni fa. In agenda, oltre alla presentazione del «Registro internazionale dei danni» (su cui è attesa l'adesione anche di Stati Uniti e Giappone), ci sono altri due punti. Uno, spiega Marija Pejcinovic Buric, segretaria generale del Consiglio d'Europa (cui fa capo la Corte europea dei diritti umani), è «il sostegno dell'Ufficio del Procuratore generale nelle indagini sui crimini di guerra» in Ucraina, l'altro «l'appoggio agli sforzi internazionali per istituire un Tribunale speciale sul reato di aggressione».
Meloni, insieme agli altri leader, è attesa per oggi pomeriggio all'Harpa, la sala concerti e centro congressi che, con la sua vetrata a caleidoscopio, è uno dei simbolo di Reykjavik. Ci arriverà con il biglietto da visita di un deciso sostegno all'Ucraina e della chiara collocazione atlantista che è sempre stato uno dei capisaldi della sua politica estera. Un sostegno che è stato rinsaldato con la sua visita a Kiev e con il viaggio a Roma di Zelensky durante il suo tour europeo di questi giorni. «Il Registro - spiegano fonti di Palazzo Chigi - è un primo passo verso la creazione di un meccanismo internazionale di compensazione economica dei danni subiti dall'Ucraina che consentirà di chiamare la Russia a rispondere delle sue responsabilità».
Per cogliere il peso che il Consiglio d'Europa ha voluto dare all'appuntamento, è sufficiente un'occhiata agli interventi che apriranno il summit. Dopo i saluti della premier islandese, infatti, interverranno nell'ordine - e tutti in presenza - Zelensky, Macron, Scholz, Meloni (che poi in serata prenderà la parola a una tavola rotonda sui «Nuovi diritti umani emergenti») e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak. Visto il parterre dei partecipanti, peraltro, è probabile che il summit sia l'occasione anche per alcuni incontri bilaterali.
Non è escluso fanno sapere dall'Eliseo che dopo le tensioni dell'ultima settimana Meloni e Macron possano finalmente avere uno scambio di vedute. Se non a Reykjavik tra oggi e domani, più probabilmente durante il G7 in programma a Hiroshima nel fine settimana.
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