Ma poi Ursula è un'amica, dice sorridendo la Meloni al termine dell'incontro con Xi a Pechino, altro che gelo dopo lo scambio epistolare tra Bruxelles e Roma, «in fondo si tratta di argomenti di cui abbiamo sempre discusso». Per cui ragazzi no, non ci sono problemi, «non si registreranno ripercussioni negative per l'Italia» dopo la relazione della Ue sullo stato di diritto e la replica del governo, «non è vero che i rapporti con la Commissione europea stiano peggiorando», non pagheremo un prezzo nella scelta della squadra o sulla politica economica. Anzi, racconta la premier, «su questi punti siamo in contatto costante». E la lettera spedita alla von der Leyen sarà pure inconsueta, irrituale, ma non segnava certo «un momento di frizione», piuttosto «una riflessione comune sulla strumentalizzazione che è stata fatta di un documento tecnico che peraltro non dice niente di particolarmente nuovo» da parte di alcuni giornali italiani.
Quali? Repubblica, il Domani, il Fatto: Giorgia li definisce «stakeholders, portatori di interesse». Sono stati loro, sostiene, a montare un caso sulla mancanza di tutela della libertà di stampa e le carenze democratiche, non certo Ursula. «Mi corre l'obbligo di ricordare che gli accenti critici non sono mossi dalla Commissione, che ha riportato i giudizi di quei quotidiani».
La presidente del Consiglio è volata fino in Cina per parlare di Ucraina, Medio Oriente, commercio, micro-chip, nuova Via della Seta, ma il corpo a corpo con l'informazione prosegue anche da laggiù. A infastidirla parecchio stavolta, oltre agli echi sul report Ue, è stato il dossier realizzato da Media Freedom Rapid Response, che ha sollevato il problema della crescita delle querele temerarie. Per la Meloni però non è colpa delle istituzioni o della mancanza di una legge. «Dicono che ci sono delle intimidazioni alla stampa perché degli esponenti politici chiamano in giudizio per diffamazione alcuni giornalisti, tuttavia non mi pare proprio che in Italia esista una regola per cui se tu hai una tessera dell'ordine, come ho pure io, vuol dire che puoi tranquillamente diffamare qualcuno. Si prendono ad esempio persino delle querele che ho mosso io quando ero all'opposizione e non a Palazzo Chigi...». Insomma, «non c'è rispetto nemmeno nell'indipendenza dei giudici in un simile atteggiamento».
E questo perché si tratta, secondo Giorgia, di azioni politiche. «Capisco il tentativo di strumentalizzare e anche quello di cercare il soccorso esterno da parte di una sinistra che in Italia è evidentemente molto dispiaciuta di non poter utilizzare il servizio pubblico come fosse una sezione di partito». Non posso aiutare, commenta, «perché io credo nella libertà di informazione e di stampa».
E qui subito passa alla Rai, argomento principale della lettera recapitata alla von der Leyen. Per le nomine dei nuovi vertici, assicura, non ci sarà troppo da aspettare, visto che si è dimessa la presidente Marinella Soldi, «quindi è una questione di cui dovremo occuparci nelle prossime settimane». Non sarà facile trovare un'intesa nella maggioranza. Quanto alla governance, «è definita da una legge del 2015 approvata dal governo Renzi: io sul tema sono assolutamente laica. Non è una riforma che ho fatto io, non l'ho nemmeno particolarmente difesa, quindi se come dicono è pessima, possiamo parlarne». Questo, attenzione, non significa privatizzare.
«Ho letto le indiscrezioni, non so da dove siano uscite. Posso soltanto confermare di non aver alcun bisogno di una Telemeloni. Non la voglio, non mi interessa. Se intendo comunicare qualcosa io uso i miei canali social. Chi li vuole seguire li segue».
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