Merola in testa ma crolla. E la Lega beffa i 5 Stelle

Il primo cittadino del Pd resta inchiodato al di sotto del 40% ed è costretto al secondo turno. La candidata del Carroccio in vantaggio sull'uomo di Grillo

Merola in testa ma crolla. E la Lega beffa i 5 Stelle

Merola, Borgonzoni, Bugani. Un ballottaggio quasi a tre e lo spettro della sinistra radicale che farà da ago della bilancia al secondo turno. Bologna la «dotta» sarà anche distratta, ma ha provato a svegliarsi, dopo settimane di campagna elettorale sottottono. Virginio Merola, sindaco uscente doveva vincere al primo turno - glielo aveva chiesto anche Matteo Renzi – ma a notte fonda aveva un vantaggio per nulla da record con un 37,8%, al di sotto della «comfort zone» del 40% che tutti davano per certa. Chi inseguiva come Max Bugani, pur raddoppiando i voti grillini rispetto alle elezioni del 2011 – è passato dal 9,4% al 17,5% - si è visto chiudere in faccia, per il rotto della cuffia, la possibilità di giocarsi la finale del ballottaggio, proprio sul campo di gioco amico nella terra che è stata l’incubatore del grillismo tricolore. È lui la vera delusione dell’Italia a Cinque stelle.

A conquistarsi la probabilità del ballottaggio, quando erano state scrutinate 30 sezioni su 445, è Lucia Borgonzoni con il 23% raccolto grazie ad un centrodestra compatto, ma a trazione (quasi integrale) Lega, oltre a due civiche. Già la Lega all’attacco nell’Emilia rossa è una notizia e una vittoria personale di Matteo Salvini. Prova ne sono state le sue cinque «calate» in città, fra bavagli, piazze negate e qualche contestazione, contro le più tiepide apparizioni degli altri leader nazionali. Matteo Salvini in nottata ha parlato di orgoglio e ha promesso che tornerà presto a Bologna. Ma che intanto una battaglia almeno, l’ha vinta. È quella dell’affluenza. C’era quasi la stessa coda a palazzo Fava, per la mostra di Edward Hopper che alle urne. Già in mattinata la partecipazione aveva toccato il 20%, la più alta d’Italia, confermando in serata il primato fra i capoluoghi di Regione con il 46%, assestatosi poi, a chiusura urne, al 59,7%, seconda solo a Cagliari. Nove candidati, 17 liste. Voto secco per sei circoscrizioni. Al ballottaggio Merola approda appoggiato da Pd e quattro liste civiche. Separato in casa con il premier, per avere osteggiato apertamente il Jobs Act, Merola, aveva anche criticato il ministro Angelino Alfano sull’ipotesi di voto allungato a lunedì. Tant’è. Ora gli serviranno due settimane per convincere almeno la maggioranza dei 300mila bolognesi.

La vera notizia, però, al netto del ballottaggio, è la sconfitta, pur con minimo scarto, dei grillini. Max Bugani, residente fuori Bologna, è sfilato in città, accompagnando il fratello al voto, ma l’ortodosso di padre Beppe, braccio esterno (ed armato) del Direttorio, soprattutto quando serve puntare il dito su color che son sospesi o da epurare, ha pagato di essere più profeta fuori che leader in Consiglio comunale. Si azzardano ipotesi: la sua candidatura è stata per direttissima. Niente selezioni via web. Una scorciatoia che evidentemente non ha convinto. I suoi voti saranno l’ago della bilancia al secondo turno, non meno del complessivo 20% totalizzato dagli altri 6 candidati. Fra tutti pesano sia il 10,6% dell’ex leghista Manes Bernardini sia l’8% circa di Federico Martelloni di Sel. La partita è delicata, costruita sui temi di legalità, sicurezza e lavoro. Valori che la «Dotta» ha, suo malgrado, perso di vista in questi anni. Quasi mille anni di università, 100 di Lamborghini e 90 di Ducati.

Eppure i fasti sono lontani: tramontata l’età dell’oro (rosso Pci) di sindaci, per i luoghi, leggendari, come Renato Zangheri, perfino l’età del ferro e degli epigoni sembra lontanissima: da Walter Vitali alla parentesi di centrodestra guidata da Giorgio Guazzaloca, passando per Sergio Cofferati, fino ad affondare negli scandali di Flavio Delbono, la rossa Bologna ha cominciato a sbiadire. A chi saprà credere ancora questa «Vecchia signora dai fianchi un po’ molli»? Quindici giorni e lo sapremo.

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