«Servono fatti non decreti». «Falliamo noi fallite voi». «No tasse più aiuti concreti». Sono alcuni degli striscioni esposti dai ristoratori che ieri pomeriggio hanno manifestato sotto la pioggia davanti alla prefettura di Milano la propria rabbia contro le restrizioni imposte dall'ultimo Dpcm del premier Conte. «Abbiamo un mese e mezzo di vita ancora, siamo preoccupati che la chiusura alle 18 sia la mazzata finale» si sfoga Riccardo Donati, titolare di un ristorante storico vicino alla Stazione Centrale. Un'attività che ha retto per cinquant'anni e che arranca sotto i colpi del virus e dei lockdown. Il coprifuoco equivale a una chiusura a tutti gli effetti («la pausa pranzo è azzerata dallo smart working, gli hotel stanno richiudendo perché hanno tre camere occupate») e le parole di Conte sui ristori che arriveranno direttamente sul conto corrente a novembre alle categorie colpite non convincono, visti i precedenti: «Ho 10 dipendenti, aspettano la cassa integrazione da maggio». Storie che (purtroppo) si assomigliano tutte in piazza. C'è la titolare del pub alle porte di Milano che non ci sta a sentir trattare i ristoranti «come untori, siamo attentissimi e abbiamo investito inutilmente per mettere a norma le strutture, ora ci richiudono». E quella del ristorante gourmet a pochi metri da piazza Duomo che a Conte chiede «interventi forti, da stato di emergenza, sospenda tasse e imposte invece di lasciarci a fare la guerra legale tra poveri, locali contro fornitori. Come si pagano le spese senza incassare un euro? Dal premier sentiamo da mesi spot politici che andranno bene forse per la sua campagna elettorale». Una delegazione guidata da Alfredo Zini, presidente del Club imprese storiche di Confcommercio Milano, viene ricevuta per mezz'ora dal prefetto Renato Saccone. «Ha recepito le nostre richieste e ha detto che immediatamente le avrebbe mandate a Roma, alla Presidenza del Consiglio - riferisce al termine Zini - Trova che siano corrette ed eque. Chiedono di uniformare il Dpcm con l'ordinanza regionale lombarda che impone il coprifuoco dalle 23, dopo le 18 ci sono cinque ore in cui tutto può succedere, anche consumare alcolici nelle piazze, gli abusivi si arricchiranno alle nostre spalle». E la categoria chiede a Conte «contributi non a pioggia uguali per tutti ma commisurati alla perdita di fatturato».
Cresce la tensione sociale. Confcommercio ha calcolato che gli occupati colpiti dal Dcpm siano oltre 1,2 milioni solo nel settore della ristorazione, 188.766 in attività artistiche, sportive, di intrattenimento, oltre 13mila nei centri benessere. Quasi un milione e mezzo di italiani «in sospeso» fino al 24 novembre. «L'ultimo Dpcm crea danni gravissimi alle imprese, insopportabili, parliamo di circa 17,5 miliardi tra consumi e Pil - avverte il presidente Carlo Sangalli - La risposta non può essere solo più chiusure, così si finisce per chiudere il Paese». Oggi incontrerà Conte. «Gli chiederò tempi certi per gli indennizzi alle imprese penalizzate dalle chiusure e un piano generale più ampio per affrontare l'emergenza e uscire dall'incertezza della navigazione a vista» anticipa Sangalli.
Il governatore del Veneto Luca Zaia lancia «un appello al governo perché riveda il Dpcm. Oggi il vero problema del diffondersi del Covid sembra quello del cliente che va al bar o in gelateria.
Lo dice uno che non è un negazionista, sono stato il primo a creare la zona rossa e chiudere le scuole. Ma qui si chiudono realtà controllate in maniera incomprensibile. I ristoratori non sono untori, Conte poteva insistere molto di più sul contrasto agli assembramenti».
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