Quella mezza piazza che non rianima il Pd

I dem cercano di ripartire uniti. E Renzi ritratta la bocciatura per Zingaretti

Quella mezza piazza che non rianima il Pd

Roma - Entusiasmo? Non è potuto venire. Forza? È da anni che nun se vede. Idee? In gita fuoriporta, un bucatino ai Castelli.

Siamo 70mila, non quattro gatti, dicono quelli del Pd, come se oggidì il dato numerico (diecimila in più o in meno) conti qualcosa. Sono molti meno, confermano però larghi spazi vuoti nella piazza che fu andreottiana della Dc, almirantiana con il Msi, e la somma faceva sempre centomila. «Noi siamo somma, non divisione», fa di calcolo il segretario reggente Maurizio Martina, lontanissimo in un palco schiacciato dal sole del tramonto. Più che un palco, sembra il viale imboccato dal partito che non ha più molto senso, e ormai si vede con il cannocchiale alla rovescia. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. «È una bellissima giornata», confermano i leader. «Una giornata di sole dopo la triste serata del balcone», esagera Gentiloni. «Ripartiamo uniti di qui», propone Calenda, che ci riprova a organizzare. La gente più volte ripete in coro «unità, unità»: «Ci danno una lezione», dirà Martina, «anche se un segretario di unità non parla, la pratica». Ci prova persino Renzi, e ritratta la bocciatura per Zingaretti «inadatto alla segreteria». «Mai detto», spergiura. «Siamo in piazza contro il governo, senza paura né divisioni tra noi», azzarda.

Argutamente, gli organizzatori hanno diviso la piazza per settori transennati, così che i larghi corridoi presidiati dalle forze dell'ordine mangino centimetri, anzi metri cubici, a una distesa di sampietrini che si pone come location ottimistica (e per fortuna non hanno fatto il corteo, sarebbe diventato la via crucis). Il resto lo fa un imponente schieramento di bandiere: blu d'Europa, tricolore d'Italia, soprattutto bianche. Del Pd, ma sembra la richiesta di una resa condizionata. È piazza del Popolo, ma ieri il popolo era un àmarcord. Buona borghesia salottiera, Parioli, Monti, Trastevere, Monteverde, spinta in piazza dalla premura di contarsi, di contare, di resistere a questa destra cui «non basta opporsi con il politicamente corretto», dice Martina, ma la sua voce arriva debole.

Sul lungotevere, intanto, si sfila benissimo: se score, dicono a Roma. Rallentamenti a tratti sul ponte Regina Margherita, ma la domenica di qui si raggiunge Muro Torto e villa Borghese. Qualcuno, è pur vero, ci ha rinunciato per seguire il comizi della rinascita, o meglio, dell'io speriamo che me la cavo. I romani a passeggio danno un'occhiata, poi via senza fretta verso le vetrine di via del Corso e del Babbuino. Le piantane viventi delle bandiere, invece, sono migliaia di militanti venuti da tutta Italia, 20-30mila, alcuni accolti a Termini dal segretario in persona: un tempo era il contrario. Alcuni pullman si sono riempiti giusto all'ultimo momento, in tempo per la partenza. Prolifera l'accento toscano, divenuto roccaforte di questo mondo in cerca di se stesso. Arriva persino Calenda, «non scendevo in piazza da 25 anni», dice, ma non sapremo mai per chi o perché. Approfitta per dire ancora una volta che non si candida e che «il partito va superato», anche se star qui gli piace.

Nel retropalco il non-candidato Delrio abbraccia Zingaretti che pare abbia rinunciato a presenziare un importante trofeo di golf. Poco prima, a telecamere dei tg spiegate, ecco Renzi prendere l'iniziativa e abbracciare Gentiloni. Che a sua volta non si sottrae, prendendo il toro per le corna.

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