
Patrizia Gucci è la bisnipote di Guccio Gucci, fondatore della celeberrima azienda. Ha scritto recentemente un libro che ha intitolato «La vera storia di una dinastia di successo».
Patrizia, perché ha deciso di scrivere questo libro?
«Perché in questi anni sono stati scritti dei pessimi libri sui Gucci. Allora mi son detta: ora lo scrivo io».
Un libro che parte da dove?
«Parte da me. Da tante cose che so, che ho visto. Ho voluto raccontare la storia vera dei Gucci».
Finora non è stata raccontata?
«No, hanno raccontato pettegolezzi, litigi, hanno scritto bugie. Ma la grandiosità, la creatività, la genialità di questa famiglia sono cose che non ha raccontato nessuno».
Come nasce Gucci?
«Mio bisnonno Guccio Gucci alla fine dell'800 decise che Firenze era piccola. Andò a Londra. Restò lì quattro anni. Hanno scritto che lui faceva il povero lavapiatti. Bugia! Lui era addetto all'ascensore dell'Hotel Savoy. Era il Lift Boy di quello che era l'unico hotel in Europa dotato di quella modernità. Prendevano l'ascensore persone ricche e potenti con grandi bagagli, bauli, cappelliere. Mio nonno capì che esisteva questo mondo del lusso».
Da lì iniziò tutto?
«Tornò in Italia, a Milano, e lavorò in varie fabbriche che trattavano la pelle e a Firenze aprì un negozietto. Una valigeria. Guccio Gucci. Così si chiamava. Firenze era un luogo frequentato da ricchi turisti stranieri. Specie inglesi. Furono loro i primi clienti e si fece conoscere. Così iniziò il mito di Gucci. Poi venne mio nonno Aldo e poi mio padre Paolo».
Della sua infanzia cosa ricorda?
«Andavo a giocare in fabbrica. Con la bici giravo per i cortili. E poi curiosavo nei vari reparti. Mi ricordo il fascino della famosa borsa 0633, col manico di bambù, e mi ricordo il profumo della pelle».
Mi parli di suo padre Paolo
«Ecco, ci tengo a precisare questa cosa. Io sono figlia di Paolo Gucci. Non c'entro niente con Patrizia Reggiani. La Reggiani era la moglie di mio cugino Maurizio, figlio di Aldo Gucci. Ed è stata la mandante dell'omicidio di Maurizio, che era un Gucci».
Perché ci tiene a sottolinearlo?
«Perché purtroppo la Reggiani si chiama Patrizia come me e si fa chiamare Gucci mantenendo il cognome dell'ex marito. Basta digitare su Internet Patrizia Gucci e al posto mio esce la Reggiani. Lei è stata la mandante dell'omicidio di Maurizio e condannata per questo. Non c'entra niente con la dinastia dei Gucci. La vera Patrizia Gucci sono io».
Ci torniamo. Ora mi dica: che rapporto aveva con suo padre Paolo?
«Lo vedevo poco, mi mancava. Lavorava sempre fino a tardi e quando rientrava era stanco e nervoso. Poi viaggiava molto. Stento a ricordare la volta che mi ha presa in braccio. Si occupava poco di me».
Era lui il creativo dell'azienda?
«Assolutamente sì. Mio padre era indiscutibilmente il vero creativo della Gucci. Morì nell'anno maledetto: il 95. Morì mio padre, morì Maurizio, morì la mia adorata nonna inglese Olwen».
Suo nonno Aldo Gucci?
«Viveva in America, avrei voluto conoscerlo di più. Un carisma straordinario e una grande autorità soprattutto con i figli. Buttava tutti giù dal letto alle otto e li spediva in azienda».
Anche lei andava in azienda?
«No. Io da ragazza studiavo. Amavo il latino, la storia, la filosofia. Poi l'università e l'archeologia col grande Carandini. Un periodo bellissimo».
E suo padre cosa le diceva?
«Mi chiedeva: Quanti esami hai fatto? Io rispondevo: Pochi papà, ma sto facendo gli scavi sull'Aurelia. E lui non si sentiva soddisfatto, e mi diceva: Guarda che se non fai gli esami vai a lavorare».
Ai suoi genitori non piaceva il suo fidanzato, vero?
«Vero. Conobbi Stefano, il mio futuro marito durante una vacanza in Sardegna. Avevo appena diciassette anni. Era un architetto, era colto, studiava. Veniva a casa con Rinascita sotto il braccio, che era il settimanale del partito comunista. A casa non era ben visto poiché veniva da una famiglia più semplice della nostra».
Lei però tirò dritta e stette con lui.
«Nonostante io e Stefano fossimo molto diversi mi attraeva molto la sua parte intellettuale: leggevo più libri, frequentavo i suoi amici universitari. Una realtà diversa, bellissima».
Lei poi si è laureata?
«No. Ovviamente no. Alla fine sono andata a lavorare in azienda».
Il rapporto tra suo padre e suo nonno?
«Forte. Si stimavano molto. Ma anche grandi contrasti. E mio nonno talvolta, in azienda, lo contrastava e lo umiliava».
Il rapporto tra suo padre e sua madre?
«Si sono conosciuti che lui aveva 17 anni e lei 18. Lei era molto bella. Si sono amati moltissimo. Poi tanti litigi, lontanaze. Però cinque minuti prima di morire mio padre le disse: Sei l'unica donna che ho mai amato».
Mi parli del film di Ridley Scott sulla famiglia Gucci.
«Nel 2003 la moglie di Ridley Scott volle vedermi insieme a mia sorella Elisabetta dicendomi che volevano realizzare un film sulla famiglia Gucci».
Una bella proposta no?
«Fummo lusingate che un nome di quel calibro fosse interessato a fare un film sulla nostra storia. Però...».
Cosa accadde?
«Silenzio per quasi 20 anni e nel Dicembre 2020 apprendemmo dai media che Ridley Scott era in procinto di realizzare un film sull'omicidio di mio zio Maurizio Gucci. Sconcertate!»
Il film House of Gucci.
«Uno spettacolo indegno pieno di bugie e mistificazioni. Accostarsi a una storia, specialmente se di famiglia, richiede attenzione, rispetto e amore per la verità. Quel film non aveva nulla di tutto ciò».
Torniamo al 1995, mese di marzo. Mi racconti quel giorno nel quale è stato ucciso Maurizio.
«La segretaria del mio papà mi telefona e mi grida: Accendi la televisione!. L'accendo e scopro che Maurizio è stato ucciso con una pistola. Siamo andati a Milano al funerale, c'era la moglie, i figli. Non mi spiegavo. Chi poteva avere deciso di ucciderlo? Lo hanno scoperto dopo due anni».
E quando è uscita la verità, e si scoprì che la mandante era la moglie, cioè Patrizia Reggiani?
«La conoscevo, l'avevo frequentata. Credo che lei non potesse accettare che Maurizio avesse un'altra donna. Non credo che fosse una storia di soldi. Maurizio aveva perso la mamma a quattro anni. Quando conobbe la Reggiani secondo me la prese un po' come una mamma. C'era un legame particolare tra loro. Decideva tutto lei e quando lui decise di andarsene lei non voleva perdere il potere che aveva su di lui».
Da quando si è scoperta la verità sulla morte di Maurizio lei non ha avuto più contatti con lei?
«No. Noi Gucci eravamo scioccati. Non riuscivamo a capire come una persona come lui potesse avere avuto accanto una donna così diabolica».
E' più entrata in un negozio Gucci?
«Da molto tempo non ci entro. Rimasi malissimo quella volta che entrai e le persone che ci lavoravano non mi riconobbero. E comunque non compro oggetti di lusso. Spendere migliaia di euro per una borsa mi sembra una cosa molto poco elegante: uno schiaffo alla miseria».
La vostra vita è cambiata da quando non avete più la Gucci?
«Sì è cambiata per tutti noi. Personalmente sono anche liberata di tanti doveri. Mi è rimasto il senso estetico, il punto di vista, il modo di giudicare, il modo di scegliere gli amici. Quello è lo stile Gucci».
Mi dia una definizione della dinastia Gucci?
«Una famiglia geniale. Conosco persone che hanno lavorato con mio padre e quando parlano di lui piangono».
La follia della Reggiani vi ha danneggiato?
«Sì: fango, fango».
Con questo libro che ha scritto si è tolta un po' di sassolini dalla scarpa. Qual è il sassolino più grande?
«La mancanza di rispetto per 70 anni di storia italiana».
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