Migranti e No borders, Como è sotto assedio

Gli extracomunitari appoggiati dagli antagonisti rifiutano il centro d'accoglienza per non essere identificati. La tensione continua a crescere mentre la polizia non interviene

A sinistra i migranti alla stazione; a destra il campo della Croce Rossa
A sinistra i migranti alla stazione; a destra il campo della Croce Rossa

Da Como

Prosegue fra le tensioni lo sgombero, iniziato lunedì, della tendopoli di migranti davanti alla stazione ferroviaria di San Giovanni, a Como. Due giorni fa ha infatti aperto i battenti il nuovo campo di accoglienza di via Regina, a poca distanza dal parco dove, con l'aiuto dei militanti No Borders e dei centri sociali, da mesi è allestito un accampamento di fortuna. Le voci di uno sgombero forzato diffuse nel fine settimana hanno spinto molti a tornare in treno verso Milano o a tentare per l'ennesima volta il passaggio in Svizzera.

Lo zoccolo duro degli abitanti della tendopoli - perlopiù etiopi, eritrei e subsahariani - si oppone però al trasferimento. «Chi va nel campo viene fotosegnalato e noi non vogliamo», spiegano i rappresentanti dei profughi. La Caritas locale tenta una mediazione, distribuendo i pasti solo nel nuovo centro per attrarvi il maggior numero di persone, ma gli sforzi sono vani (guarda il video).

A soffiare sul fuoco ci sono infatti i No Borders, una delle sigle più conosciute nel mondo dell'antagonismo pro-migranti. Forti di settimane di convivenza insieme ai profughi, i No Borders esortano tutti ad opporsi con ogni mezzo al trasferimento: bisogna continuare a tenere la frontiera sotto pressione, ripetono instancabili. L'obiettivo piuttosto utopico per la verità è quello di un assalto in massa al confine, nella speranza che il fattore numero consenta a qualche decina di migranti di sfondare. Una «sogno» che basta a tanti per rifiutare l'ingresso nel campo della Croce Rossa. «Preferiamo vivere nel parco come animali sbotta un ragazzo etiope, ma conservare la nostra libertà. Se andiamo a vivere nel campo, di notte saremo chiusi dentro e non potremo più provare a passare il confine. Io sono stato respinto 11 volte, ma non m'importa. Voglio arrivare in Germania e proverò ancora».

Tuttavia qualcuno che accetta di trasferirsi nel centro c'è. Poche e diffidenti decine, d'accordo: «Andiamo solo a vedere com'è», sembrano quasi giustificarsi. Chi abbandona la tendopoli per il campo viene coperto di insulti dai «resistenti» (guarda la gallery).

Le porte del nuovo centro della Croce Rossa sono blindate, l'ingresso è interdetto ai giornalisti. Alcuni fotografi che si sono arrampicati sul tetto del vicino cimitero sarebbero stati fermati e identificati dalla polizia. All'interno della struttura i container possono ospitare trecento persone, con una mensa, le docce, una lavanderia e un centro di mediazione culturale con avvocati e psicologi. «I No Borders però continuano a ripetere ai migranti che queste sono prigioni di Stato dove verranno rinchiusi a vita - sospira il direttore della Caritas lariana Roberto Bernasconi Ma sono stupidaggini».

La verità è che molto pochi possono davvero sperare di essere accolti in Svizzera. Con l'apertura del campo si risolverà forse un problema di ordine pubblico, ma verrà sancita quella che ormai è una realtà sotto gli occhi di tutti. Como è un vero e proprio collo di bottiglia dove le speranze dei migranti diretti in Svizzera vanno a spegnersi come già succede a Calais in Francia o a Idomeni in Grecia. Le cifre, certo, sono ancora contenute, ma la città è sotto pressione.

Davanti alla stazione, turisti e residenti

osservano basiti la lunga fila di bivacchi: «Dovrebbero distribuirli anche in altre città osserva la signora Agnese, alla stazione per accogliere un parente Il mio timore è che questo nuovo centro ne attiri sempre di più.

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